La contestazione che viene dallo Spirito Santo
va nel senso della liberazione
Questa sera voglio fare un discorso ecclesiale, cioè un discorso che almeno intenzionalmente costruiremo insieme.
Mi é sembrato che, venire qua stasera con questo freddo per il 25° di un parroco come il vostro e fare il solito discorso sul sacerdote, fosse quasi anacronistico, poco producente, che avrebbe finito – nonostante la mancanza d’orpelli protocollari – di essere una manifestazione formale. Allora per entrare nella dinamica di questo discorso, cerchiamo di farlo insieme in questo senso: io cerco di mettermi al vostro posto specialmente in quel punto, di quel gruppo di più giovani, per vedere se é possibile fare un discorso sul prete.
Dobbiamo prendere atto che siamo in un clima di contestazione. Non esprimiamo un giudizio su questo fenomeno. Ne prendiamo atto, anzi lo prendiamo in considerazione proprio per il tema che ci interessa questa sera. Il problema della contestazione ha due radici, viene da due sorgenti, ha due impulsi. C’é una contestazione che viene dal mondo. Il mondo come lo definisce nostro Signore Gesù Cristo in certi discorsi, è: il mondo che si oppone alla luce, il mondo che si oppone alla verità, il mondo che si oppone al bene, il mondo in cui é immerso l’uomo, il mondo che é immerso nel peccato. Praticamente é il mondo che é immerso nell’egoismo.
C’é una contestazione che viene dal mondo ed è di coloro che contestano perché non hanno, e contestano non per avere, secondo giustizia, i diritti e le giuste rivendicazioni, ma avere, per soddisfare qualche cosa che portano in se stessi, che non é sulla linea della loro dignità, della loro giusta autonomia, della loro affermazione personale. E’ una contestazione che, possiamo dire, nasce dal male, nasce dal peccato.
C’é un’altra contestazione che nasce dallo Spirito Santo. Questa contestazione, pur avendo manifestazioni molto diverse e matrici immediate, non solo diversificate ma alle volte contrapposte, da qualunque gruppo sia portata avanti, prosegue sempre in tre direzioni: nel senso della liberazione, nel senso della fraternità, nel senso della austerità.
La contestazione che viene dallo Spirito Santo va nel senso della liberazione che noi cristiani identifichiamo con l’azione che ha compiuto nostro Signore Gesù Cristo venendo in questo mondo. A Gesù fu presentato il volume del profeta Isaia e, svolto che l’ebbe, trovò il passo dov’era scritto: “Lo Spirito del Signore é su di me, per questo egli mi ha unto e mi ha mandato ad evangelizzare i poveri, a guarire i contriti di cuore, ad annunziare ai prigionieri la libertà, a restituire ai ciechi la vista e rendere liberi gli oppressi”. Ecco il senso della liberazione compiuta da nostro Signore Gesù Cristo, il primo contestatore che vede i suoi fratelli oppressi dal peccato e dalle conseguenze del peccato.
Tali conseguenze si esprimono in tutti i tempi, come si esprimono ai giorni nostri. Saranno fenomeni diversi, ma hanno sempre lo stesso senso. Paolo per descrivere il senso della liberazione scrive ai Galati: “Grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo che ha dato se stesso per i nostri peccati al fine di toglierci dalla malvagità del secolo presente, secondo la volontà di Dio, nostro Padre”. Scrive ancora ai Galati: “state dunque ben saldi in quella libertà con cui Cristo ci ha resi liberi e non vi lasciate di nuovo imporre il giogo della schiavitù”.
Io non faccio un discorso della liberazione nel senso sociale, economico, politico. Io parlo di una liberazione che dovrebbe essere l’animatrice, il fermento, la sorgente dinamica di qualsiasi liberazione che si deve compiere in questo mondo e che certamente viene dallo Spirito, qualunque sia la manifestazione con cui si esprime, qualunque sia il gruppo che questa liberazione porta avanti, o per lo meno tenta di portare avanti.
Lo Spirito Santo contesta nel senso della fraternità. Partiamo sempre dalla Parola di Dio: “Ma voi non vogliate essere chiamati maestri perché uno solo é il vero maestro e voi siete tutti fratelli”. E’ una affermazione di nostro Signore Gesù Cristo. Ne ho preso una. Potevo prenderne dal vangelo tante altre, in questo senso.
Paolo scrive ai Romani: “Coloro, infatti, che egli preconobbe, li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito fra la moltitudine dei fratelli”. Negli Atti degli apostoli leggiamo: “la moltitudine dei credenti aveva un cuore solo e un’anima sola, né vi era chi dicesse suo quello che possedeva ma tutto era fra loro comune”. Ecco la fraternità che ci viene dal nostro essere cristiani e quindi da nostro Signore Gesù Cristo. Come, del resto, la liberazione profonda e radicale.
Lo Spirito contesta nel senso della autenticità. Nel vangelo si legge: “fate e osservate ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere perché dicono e non fanno”. I farisei non sono autentici. “Guai a voi scribi e farisei ipocriti perché siete simili a sepolcri imbiancati, i quali visti dal di fuori appaiono splendidi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putredine. Così anche voi al di fuori apparite giusti alla gente, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità”. Ecco in quale senso, secondo lo Spirito, si muove la contestazione – lo dico per la terza volta – qualunque espressione possa avere o possa prendere e da qualunque parte venga.
La spinta profonda che muove il mondo alla ricerca della liberazione, della fraternità e della autenticità viene dallo Spirito Santo. E’ tanto naturale, é tanto normale, anzi é proprio nella logica delle cose, nella natura delle cose che il prete entri in questa contestazione: che il prete sia contestato.
Il prete, come ogni credente in Gesù Cristo, é soggetto alla condizione che Gesù stesso ha abbracciato: essere segno di contraddizione. Non dico, con una parola più aggiornata: segno di contestazione, però possiamo dire che é segno di contraddizione in quanto é contraddetto, in quanto é contestato ed é contestato da ambo le parti: secondo la contestazione del mondo e secondo la contestazione dello Spirito. E’ tanto chiaro quanto sia contestato dal mondo.
Il mondo che adora il denaro, il potere, il piacere non può certamente vedere bene il prete. Vede nel prete, per lo meno, il segno che gli risveglia la coscienza – se ancora ce l’ha – e gli fa capire che il suo comportamento non é giusto. Ma non fermiamoci tanto su questo aspetto, perché mi pare abbastanza chiaro. Ciò che é più attuale, ciò che é più secondo il vangelo, é che il prete sia contestato dallo Spirito Santo. Non ci dobbiamo meravigliare.
Come? Il prete é contestato dallo Spirito Santo? Il prete che é la creatura privilegiata dallo Spirito Santo é contestato proprio dallo Spirito Santo? Certo. Se il prete é un cristiano, se il prete appartiene alla chiesa, per ciò stesso é in una condizione in cui deve continuamente convertirsi, deve continuamente ritornare sui passi di nostro Signore Gesù Cristo. Guardate che non é cosa semplice battere sempre le orme segnate dai passi di nostro Signore Gesù Cristo. Guardate che é molto facile prendere sentieri e scorciatoie pensando di fare più presto.
Lo Spirito ci contesta e ci riporta proprio sui passi di nostro Signore Gesù Cristo.
Lo Spirito ci contesta nel senso dell’opera che Gesù Cristo vuole compiere nel mondo.
Lo Spirito ci contesta perché ci vuole trovare fedeli alla missione di nostro Signore Gesù Cristo.
Allora lo Spirito contesta il prete nel senso della liberazione.
Questa contestazione é molto viva e giustamente perché il prete dai capelli grigi o bianchi o senza capelli ha un certo stile di vita assorbito durante i suoi 25 anni di sacerdozio e ancora prima durante tutto il tempo della sua formazione, per cui non é nato come espressione della liberazione che si deve compiere in mezzo alla comunità, in mezzo ai propri fratelli. Almeno da un punto di vista canonico e non teologico, é posto al di sopra, é posto a governare una parrocchia o é posto a governare una diocesi. E’ posto al di sopra e guardate che nostro Signore Gesù Cristo non si é posto al di sopra di nessuno!
Nostro Signore Gesù Cristo non é venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per la redenzione, la liberazione dei propri fratelli. Ora, qui, non ci sono delle colpe. C’é una storia, c’è un passato che continua nel presente. C’é un passato che nel presente diventa anacronistico, e che deve cedere il passo al presente. Contestano perciò il vescovo e il prete che non sono nella comunità, ma sopra la comunità, contestano quelli che non sono dentro la comunità ma che sono “al di sopra”.
Contestano, allora un certo paternalismo, contestano coloro che non sono dei padri. Tra paternità e paternalismo il passo é molto breve. La paternità é una grande cosa. La paternità é creatrice, educatrice e liberatrice. Il figlio, ad un certo momento, diventa capace di essere padre lui stesso. Tanto meglio se questo merito é il frutto della educazione ricevuta dal padre. Ma quando un padre vuole fare il padre ad oltranza, finisce col soffocare il figlio, magari di affetto. A volte lo tiene soggiogato per amore, ma non gli permette di essere se stesso, non gli da neppure la possibilità di intervenire e di esprimersi. Così che quel figlio si trova adulto negli anni, ma immaturo per le responsabilità che deve assumersi.
Noi, particolarmente nella chiesa, vediamo questo fenomeno. Riconosciamolo tranquillamente nel senso di ammetterlo perché é vero. Nelle nostre comunità non abbiamo dei cristiani adulti ma dei cristiani infantili. Tante pie donne – lo dico in senso buono – che si distinguono dalle altre perché frequentano maggiormente la chiesa, credono di avere capito meglio il cristianesimo e poi fanno consistere il massimo della loro espressione di vita cristiana nella sottomissione, nel non avere un loro pensiero, nel non avere un loro giudizio, nel non essere in grado di prendere una loro iniziativa! Lo ha detto il parroco, lo ha detto il vescovo e questo basta!
Con queste espressioni io non voglio diminuire il carisma e la funzione del parroco o del vescovo o del papa; così come non voglio sminuire la funzione del padre. Ho detto che la paternità può deviare in paternalismo.
Il papa, il parroco, il vescovo possono deviare in clericalismo e fare la chiesa dei preti, per cui si sente dire: ‘tu sei dalla parte dei preti… tu te la fai con i preti’. Questo é grave: la identificazione della chiesa con il papa, il vescovo, i preti. E’ grave perché la chiesa non é certamente né il papa, né il vescovo, né il prete. Il papa, i vescovi, i preti hanno il loro ruolo importante, hanno il loro compito insostituibile nella chiesa, ma da soli non sono la chiesa. Il papa, i vescovi, i preti sono la chiesa insieme a tutti i loro fratelli che sono stati rigenerati e santificati da nostro Signore Gesù Cristo e che sono fratelli con i loro fratelli. Lo Spirito Santo contesta il prete nel senso della fraternità. Il prete dovrebbe essere nella comunità il ministro-servo della liberazione dei propri fratelli.
Il prete oggi, ritengo ingiustamente riguardo al singolo ma giustamente in genere, é sospettato di collisione con il potere: potere economico, politico, e tutte le altre espressioni di potere. Allora il prete deve avere coscienza che esiste questa contestazione e tenerne conto. Lo Spirito Santo contesta nel senso della autenticità. Il prete deve essere prete.
Notate bene che per essere prete nella chiesa santa di Dio non deve soltanto essere capace di svolgere le sue funzioni. Questo é il punto chiave per intendersi. Il sacerdote non solo deve essere molto bravo nella predicazione, molto esperto nei consigli che dà nella direzione spirituale, molto saggio nell’amministrare i suoi parrocchiani. Il sacerdote deve essere autentico nella comunità nel senso di stare al suo posto.
Quando io dico “al suo posto” vuole dire che nella comunità, cioè nella chiesa che si raduna in quel momento e in quel luogo, ci sono anche i posti degli altri e lui non deve prendere il posto degli altri. Se prende il posto degli altri non é più se stesso. Non so se l’esempio calza: io non ho il mio capitale costituito da ciò che posseggo e da ciò che ho tolto agli altri. Io non posso, nella chiesa, tenere il mio posto accaparrandomi anche il posto degli altri, appropriandomi anche della grazia degli altri, assumendo in me stesso i doni degli altri, se questo fosse possibile. Se uno non sta al suo posto finisce col soffocare gli altri e di mantenerli in uno stato, che abbiamo definito, di infantilismo.
Allora nel senso della autenticità lo Spirito vuole che nella comunità il prete sia il “segno”, lo “strumento”, attraverso il quale emerge più chiaramente, più sinceramente il messaggio della liberazione. Lo Spirito contesta nel senso della liberazione perché il prete nella comunità deve essere il luogo e il segno e lo strumento della emergenza del messaggio della liberazione.
Tuttavia il prete non deve essere soltanto lui a proclamare la liberazione, non deve essere soltanto lui che lavora per la liberazione – liberazione in senso religioso -. Se egli sa tenere il suo posto, tutti i suoi devono essere persone che agiscono nel senso della liberazione dei propri fratelli dal peccato e dalle conseguenze del peccato e quindi, devono essere delle persone che diventano attive secondo il loro ruolo, secondo le loro responsabilità e competenze nel senso della liberazione. Ma perché la loro azione liberatrice sia autentica debbono avere il punto di riferimento – ecco il posto del prete – devono vedere il luogo di emergenza, devono vedere il segno verso cui orientarsi, devono sapere che é il mezzo con cui intendere il messaggio della liberazione di nostro Signore Gesù Cristo.
Lo Spirito contesta il sacerdote nel senso della autenticità perché lo vuole segno e strumento della emergenza sacramentale della liberazione. Gesù Cristo non é venuto soltanto per annunziare la libertà agli oppressi, é venuto per operare la libertà degli oppressi e non l’ha operata facendo comizi, non l’ha operata organizzando un movimento rivoluzionario di azione violenta, ma mettendo i fermenti di una più autentica liberazione, che egli ha scritto nella sua persona e nella sua vita dando se stesso come riscatto dei propri fratelli e diventando con il suo sacrificio: l’annientamento di se stesso, la sorgente per cui agli uomini – inseriti attraverso l’azione sacramentale nella sua persona -, é possibile di essere liberati e di essere liberi.
Il sacerdote, anche qui, non deve fare tutto lui. Voi avete capito che questa possibilità di liberazione diventa efficace, operativa, in noi per la grazia di nostro Signore Gesù Cristo, per la vita nuova che nostro Signore Gesù Cristo ci conferisce attraverso i sacramenti; però ministro dei sacramenti non é soltanto il vescovo, non è soltanto il sacerdote. E’ la chiesa la depositaria dei segni e degli strumenti della grazia della vita nuova, che nostro Signore Gesù Cristo ha portato su questa terra. E’ la chiesa dove é presente ed operante nostro Signore Gesù Cristo e sappiamo che Gesù Cristo é sempre presente ed operante dove due o più sono riuniti nel suo nome.
Quando avviene una celebrazione sacramentale, il sacerdote fa la sua parte, ma non deve mancare la comunità che a sua volta fa la sua parte, altrimenti gli atti del sacerdote non sono più atti ecclesiali ma ecclesiastici, e sono tutta un’altra cosa. E’ tutta la comunità che deve battezzare perché é nel seno della comunità che uno deve rinascere dall’acqua e dallo Spirito. Il sacerdote sarà ministro di una azione che compie lo Spirito Santo nel seno materno della chiesa, ma il seno materno della chiesa é il cuore dei redenti.
Il perdono dei peccati non dovrebbe avvenire unicamente al confessionale, dove il sacerdote dice: “io ti assolvo dai tuoi peccati”, dopo che hai recitato con più o meno convinzione l’atto di dolore. Il perdono dei peccati dovrebbe avvenire in tutta la comunità nella quale ciascuno vive, alla quale “tu” hai inferto un colpo doloroso che si ripercuote nel cuore di Dio nostro Padre e nel corpo mistico santissimo di nostro Signore Gesù Cristo. E’ nella comunità che “tu” hai peccato. E’ nella chiesa che “tu” hai peccato. Allora “tu” devi rivolgerti alla chiesa e la chiesa pregherà per “te”, “ti” indurrà alla penitenza con il suo esempio, “ti” porterà in braccio con la sua penitenza e all’ultimo stadio del “tuo” ritorno nel seno della chiesa il sacerdote con il gesto del Padre del figlio prodigo ti dirà: “tu” sei ancora figlio di questa casa, “tu” sei ancora nella tua casa.
Sapete che questo non avviene. Vedete, allora, che il sacerdote non é autentico? Vedete che la comunità non fa la sua parte o non sa fare la sua parte? Dite: é perché non ce lo hanno insegnato. E io vi rispondo: bisogna vedere se abbiamo voglia di apprenderlo!
Celebrare l’eucaristia. Sappiamo che é la Cena del Signore, ma noi che andiamo a messa esprimiamo di essere dei fratelli che stanno insieme per spezzare l’unico pane che ci viene offerto da nostro Signore Gesù Cristo e che é il suo corpo ed il suo sangue? E qui, con la nostra presenza persone unite nella fede, nella speranza e nella carità siamo tutti consci di non essere degli spettatori – cioè di assistere alla messa – ma di essere degli attori che debbono compiere la loro parte insieme al sacerdote che fa la sua parte?
Pensate che fino a ieri il sacerdote faceva tutto da solo, con l’ausilio di qualche chierichetto. Molti di voi, facilmente, siete stati chierichetti. Facevate tutto voi. E gli altri? Gli altri stavano a guardare. Lo Spirito contesta perché il sacerdote sia segno e strumento del momento emergente della celebrazione sacramentale, che deve essere azione di tutta la comunità.
Lo Spirito Santo contesta il sacerdote in quanto deve essere il cuore dell’unità fraterna. Il sacerdote non deve essere il “superiore” Qui siamo in una casa religiosa. Il superiore non é un concetto cristiano. Ci vuole altro! Non é un concetto cristiano! Gesù Cristo é esplicito: “non sono venuto per essere servito ma per servire”; “non siate come i dominatori di questo mondo che assoggettano gli altri, ma chi di voi vuole essere il primo si metta all’ultimo posto”. E’ un po’ una cosa seria.
Allora in quale senso il sacerdote, il vescovo, il papa esprimono il così detto governo? Nella chiesa c’é un governo nel senso di condurre le persone a stare insieme perché si vogliono bene, nel senso di condurre le persone a volersi bene perché stiano bene insieme. Allora il papa, il vescovo, il sacerdote devono essere il perno della unità nella carità, devono essere il punto focale dell’amore tra fratelli, devono essere il cuore della unità fraterna dei figli di Dio. E’ un compito difficile. Prendere mitra e pastorale e tuonare dall’alto e avere una curia che fa i decreti é molto facile.
E’ molto difficile mettersi, nascosti, nella comunità per diventare il focolare che accende l’amore e fa di tutti un solo cuore e un’anima sola.
Vedete quante cose – non dico – che deve fare il vostro parroco, dopo 25 anni di messa, ma che dovete fare voi nel suo 25° anno di sacerdozio, se volete contestarlo nel senso giusto.
OM 373 S. Egidio 1971 – Sabato, 6- 3- 71, ore 21- il 25° del parroco