Seminario 30 novembre 1972 per il suddiaconato
Mons. Carlo Ferrari -1992 ultima mattinata lauretana
Questi nostri fratelli sono stati invitati, interpellati perché dipende dalla loro decisione, rispondere alla chiamata. Sono stati anche chiamati nominalmente, personalmente così come sono. E’ per la loro libera decisione, è per la loro libera scelta, è per il loro libero impegno alla chiamata che viene da Dio e da parte della Chiesa, espressa adeguatamente ed efficacemente nella nostra comunità, che la comunità si raccoglie qui, questa sera, presieduta dal Vescovo circondato dai suoi presbiteri e particolarmente dai più giovani presbiteri.
In conseguenza di questo, avverrà qualche cosa di nuovo nella loro persona, qualche cosa che non é nell’ordine dell’istituzione divina ma nell’ordine dall’istituzione ecclesiastica, che ha una analogia con ciò che ha istituito nostro Signore Gesù Cristo, prefigurato – come avete udito – nell’Antico Testamento quando tra i membri della tribù di Levi si sceglievano gli uomini da mettere a disposizione di Aronne per il servizio della Tenda.
Noi siamo molto rivolti al servizio dei fratelli ed é giusto. Gesù dice esplicitamente di non essere venuto al fine di essere servito, ma per servire a differenza dei grandi della terra che invece si fanno servire. Qui non si tratta propriamente del ministero ma di qualche cosa che é legato al ministero. Intorno al Vescovo, ai sacerdoti, ai diaconi ci sono altre persone per il servizio dell’altare.Queste persone sono normalmente i laici. Questi laici potrebbero essere benedetti dalla chiesa dopo essere stati presentati dalla comunità, come avviene per questi nostri fratelli, perché aiutino il Vescovo, i sacerdoti, nell’adempimento del servizio della Tenda, del tempio della chiesa, del luogo sacro.
Dicevo che noi siamo molto pronti quando si tratta del servizio ai fratelli. Forse non prendiamo sufficientemente in considerazione il servizio che prestiamo ai nostri fratelli con uno stile conveniente, secondo il grado dell’istituzione ecclesiastica, nell’esercizio del culto, o meglio, nelle sacre celebrazioni liturgiche che avvengono nelle nostre chiese in muratura, che non sono la Chiesa di nostro Signore Gesù Cristo che è fatta di pietre viventi animate dallo Spirito Santo, per essere tempio vivo della gloria del Signore.
Scusate se parlo per impressioni.
Si ha l’impressione che, alle volte, al servizio del tempio, della tenda, delle chiese, si dia poca importanza. E’ vero che ciò che conta sono le pietre vive, che ciò che conta é il tempio che si edifica nello Spirito Santo. Ma noi siamo umani e il Signore che rispetta la nostra natura, esige il rispetto della natura, la quale ha bisogno di un linguaggio per esprimersi, ha bisogno di tempi e di luoghi per formulare le proprie espressioni e particolarmente le espressioni religiose, che sono le celebrazioni liturgiche. Quindi c’é più di una convenienza che il tempio materiale che ci accoglie sia custodito, curato e disposto nel modo più confacente alle esigenze della nostra natura, perché ci possiamo trovare bene: in questo luogo del convegno del popolo di Dio, in questo luogo della presenza di Dio, in questo luogo dell’incontro e quindi dell’ascolto della parola di Dio. Questo luogo che chiamiamo santo e che é sacro per tanti motivi, e il primo motivo é la presenza del Signore, non deve mai essere trascurato.
Subito, all’inizio della costituzione del suo popolo, Dio ha voluto manifestare la sua presenza nella Tenda del convegno ed ha manifestato la sua presenza in molti modi. La sua presenza nel mondo ha la pienezza della manifestazione in nostro Signore Gesù Cristo, il quale continua ad essere in mezzo a noi in un modo particolare nell’assemblea liturgica. Quindi il luogo materiale dove si raccoglie l’assemblea é il luogo dell’incontro dove si sta a tu per tu con Dio. Dove si sta a tu per tu con il nostro Dio per ascoltarlo, per accogliere la sua Parola e diventare disponibili a ciò che egli vuole fare di noi e con noi. E’ il luogo del convegno dove quelli che credono in nostro Signore Gesù Cristo, convengono per stare insieme, e proprio in questo stare insieme, é essere l’espressione massima dell’unità della Chiesa,del mistero dell’unità della Chiesa,quindi della profondità del mistero della Chiesa stessa.
Questo luogo materiale che ci raccoglie per questa esperienza, per questo incontro, per questo nostro convenire, è necessario che sia disposto in modo che il convegno per stare insieme sia possibile. E’ necessario che sia disposto in modo che l’incontro possa essere facilitato e che la Presenza possa essere avvertita. Questo é un servizio che possono fare tutti ma lo dobbiamo compiere noi particolarmente, noi a cominciare dal Vescovo e dai suoi sacerdoti, dai diaconi, dagli accoliti, dai lettori e anche provvisoriamente dai suddiaconi, in ogni caso da coloro che si vogliono dedicare al servizio dei fratelli. E’ indispensabile che ci sia questa disposizione chiara, netta ed evidente di volersi dedicare al servizio del Signore, al servizio del luogo della presenza, al luogo dell’incontro, al luogo del convegno.
Vorrei non cadere in banalità, ma vorrei essere inteso bene. Fa tristezza sapere che qualcuno di noi non vuole fare vedere agli altri che é prete, che é seminarista, che é diacono, non solo per il fatto che non porta la veste e neppure il clergyman. C’é una specie di rispetto umano. Dico francamente che non so interpretare quale disposizione d’animo ci sia sotto questo determinato atteggiamento. Non entriamo in questioni, però, cercate di capire il pensiero del Vescovo e non travisatelo. Classificatemi come credete bene, ma io rimango male quando nelle parrocchie dove so che ci sono dei seminaristi, vedo in presbiterio il piccolo clero, i giovani ed altri che fanno i lettori e non vedo i seminaristi. Sta bene che questi compiti, che altri ragazzi assolvono abitualmente della parrocchia continuino, però si dovrebbe notare la presenza del seminarista. Questo vale tanto di più quando si é vicini al sacerdozio. Vale ancora di più quando si é sacerdoti.
In questo momento non sto proponendo delle prescrizioni, sto richiamando la vostra attenzione. Il popolo di Dio, alle volte, può avere esigenze che sono semplicemente nostalgia del passato. Ritengo che, prima delle esigenze del popolo di Dio, si debba guardare alle esigenze di Dio stesso, dinnanzi al quale dobbiamo dichiarare chi siamo e chi vogliamo essere con la profondità dei nostri sentimenti, con la nostra pietà sincera, con la così detta virtù di religione che, poi, si esprime dinnanzi ai nostri fratelli con un determinato comportamento, che potrà essere anche quello di indossare gli abiti convenienti al servizio e adeguati ai gradi di servizio.
Guardate che, questo é almeno un desiderio vivo del vostro Vescovo. Non faccio questione. Non ne ho mai fatta con nessuno, però non vorrei che s’insinuasse il pensiero che il Vescovo sia indifferente a questo modo di comportarsi. No. Cercate di capire bene. Dobbiamo stare nella Casa del Signore come si conviene, come esige il nostro Dio, come ci ha insegnato nostro Signore Gesù Cristo.
I Vangeli dicono come Gesù Cristo si comportava nel tempio. Non so cosa importassero le leggi del tempio. Non mi sono informato precedentemente, è noto che quando si é trattato di celebrare la Cena ha voluto un luogo adatto e adorno, un luogo conveniente. Quando parla per parabole e vuole dire cose molto più profonde, molto più serie, molto più impegnative, parla dell’abito nuziale con il quale ci si deve presentare al banchetto del regno dei cieli, che qui si celebra nel mistero e nei segni.
Non debbono scomparire i segni. Non deve scomparire almeno l’indizio dell’abito nuziale, che dice il nostro servizio ai fratelli, col quale servizio, ai fratelli dichiariamo che abbiamo accettato di partecipare al banchetto del Regno e che vogliamo essere umilmente disposti a partecipare a questo banchetto.
Come notate, questa sera io faccio un bel discorso confuso. Direte: o il Vescovo non si é preparato, o non vuole dire le cose con chiarezza. Credo che né l’una né l’altra cosa sia vera. Io desidero soltanto che voi siate intuitivi e che quello che fate sia frutto di una sensibilità, che nasce da una pietà profonda e da quella virtù di religione a cui ci siamo riferiti al principio. Lo esige il mistero dell’Economia della salvezza che ha il suo apice nell’Incarnazione del Verbo e il suo sacerdozio lo esercita in modi semplici, normali, familiari, non formali – diciamo così – però volendo dare delle indicazioni, le dà nel senso che vi ho detto.
Cerchiamo di andare avanti serenamente nella celebrazione. Cerchiamo seriamente di capire ciò che esige Dio da noi, ciò che esige la comunità da noi, ciò che esigono i fratelli da noi come primo servizio. Se siamo fedeli servitori di Dio saremo generosi servitori dei nostri fratelli.
OM 397 Seminario, 30-11-72- per un suddiacono