Natale 1972 in sant’Andrea
Mons. Carlo Ferrari
Buon Natale! Questa espressione ricorre sulle nostre labbra all’incontro di ogni persona cara, di ogni amico. Buon Natale è un’espressione di bontà, di gentilezza, di amore. Qualche volta, purtroppo, è semplicemente convenienza.
Buon Natale, questa espressione ripetuta in chiesa, durante la celebrazione della Parola di Dio, pronunciata da chi è posto tra voi e il nostro Dio Salvatore, e ha la responsabilità di parlare, assume un suo significato normalmente troppo lontano dal nostro modo di sentire il cristianesimo. Allora anche qui può diventare un luogo comune, almeno nella sua espressione verbale.
Buon Natale vuole annunciare che Qualcheduno nasce e noi pensiamo a Gesù bambino nel presepio e a Betlemme. Natale vuole dire che Qualcuno nasce e la celebrazione liturgica é tutta incentrata su questo avvenimento della nascita del Figlio di Dio che diventa uno di noi in mezzo a noi.
Ma, perché celebriamo il Natale, un avvenimento che di per se é lontano ed appartiene alla storia? C’é un perché. La nostra presenza qui in chiesa attesta che per ognuno di noi c’é un rapporto fra quest’avvenimento storico e la celebrazione di questo ritorno annuale della natività di nostro Signore Gesù Cristo. Gesù bambino é nato a Betlemme per essere il nostro Salvatore. E’ nato tra gli uomini perché gli uomini avessero la possibilità di nascere come figli di Dio!
Gesù a Nicodemo dirà: se non si rinasce dall’acqua e dallo Spirito Santo non si può entrare nel regno di Dio. Il buon israelita si chiedeva: come fa uno che é già nato a rinascere? Gesù non ritira la sua parola. Gesù dice di essere venuto proprio perché noi si rinasca. Gesù é venuto per portare una nuova vita nel mondo. Il Natale per noi consiste proprio in questo avvenimento che si deve verificare nella nostra persona e quindi nella nostra vita, per cui dobbiamo diventare qualcosa di più e di meglio, qualcosa che si conformi a nostro Signore Gesù Cristo stesso. Vale a dire che Gesù Cristo vuole ripetere il mistero della sua nascita in ciascuno di noi. Gesù che è il Figlio di Dio, si è fatto uomo e risiede in mezzo agli uomini perché gli uomini ricevano la sua vita di figlio di Dio.
Ma davvero, noi crediamo di essere chiamati a realizzare noi stessi, non semplicemente come uomini e come donne ma come figli di Dio? Cioè a realizzare il meglio di noi stessi elevato infinitamente dalla potenza stessa del nostro Dio? Noi siamo deboli, noi siamo inclinati ad abbassarci più che ad elevarci, noi siamo tentati di rinchiuderci più che ad aprirci, noi siamo portati ad attirare tutto a noi stessi e non a protendere verso gli altri. Questa possibilità non é in noi e non ci viene da nessuno di noi, ma solo da nostro Signore Gesù Cristo che é venuto perché noi possiamo essere:
qualche cosa di più,
qualche cosa di meglio,
qualche cosa di più grande,
qualche cosa di più umano.
Vuole che diventiamo come siamo nella mente di Dio che ci ha creato.
Ecco, allora, che il buon Natale non si riferisce al presepio di Betlemme ma si riferisce alla nostra persona. E noi facciamo il nostro Natale non semplicemente perché compiamo un atto religioso partecipando ad una celebrazione liturgica. Facciamo Natale dentro di noi, nella nostra persona e se non lo facciamo nella nostra persona, non lo facciamo in nessun modo, almeno dal punto di vista cristiano. Miei cari, c’é l’urgenza di fare un Natale così. E cessiamo prendercela con tutte le espressioni del Natale che sanno di mondanità, di paganesimo, ma cerchiamo di portare un rimedio al Natale pagano partendo da noi stessi, dai nostri pensieri, dai nostri sentimenti, dai nostri atteggiamenti, dai nostri rapporti con Dio e dai nostri rapporti coni fratelli.
Partiamo dal fatto inaudito che Dio ci viene incontro. Qui oggi si manifesta in espressioni tipiche di religiosità del nostro tempo,
aspirazioni per cui si invoca che Cristo ritorni. Dio non ha mai cessato di venirci incontro. Siamo noi che non lo accogliamo, non comunicano con Lui, lo rifiutiamo. Siamo che ci accontentiamo di apparenze, che non vogliamo uscire dalle tradizioni e non approfondiamo il significato delle stesse tradizioni.
Miei cari, le parole non vogliono suonare come un rimprovero. Sono un invito che rivolgo anche a me stesso, ai miei sacerdoti, alle persone consacrate alle persone religiosamente impegnate. Le parole che rivolgo a tutti voi che siete qui presenti sono un invito che esprimo così: decidiamo una buona volta di diventare cristiani nei fatti e non semplicemente nelle parole, decidiamo di diventare cristiani nella vita e non semplicemente nelle pratiche, religiose, decidiamo di diventare cristiani nella persona e non nei gesti, nel profondo di noi stessi e non semplicemente nelle espressioni esteriori.
Ripeto: é un invito ed é un augurio.
Che cosa ci sto a fare qui io, uno di voi e con voi fra l’altare e la vostra persona, se non per svolgere la missione di rivolgervi questo invito nel nome di Dio? E nello stesso tempo assicurarvi che questo invito non é fatto soltanto di parole umane, ma é fatto dalla parola stessa di Dio che ci viene incontro per essere il nostro Salvatore? Continuando la celebrazione liturgica questo invito si ripete in un gesto che non é gesto di uomini, ma di nostro Signore Gesù Cristo che sull’altare si offre al Padre per noi perché noi possiamo incontrare il Padre che sta nei cieli e lo possiamo riconoscere nel mondo.
Dio con noi, non è semplicemente come un compagno di viaggio ma è una sorgente di vita nuova che con una sua potenza ci sostiene, è una sorgente di luce che con sua luce ci illumina. Queste mie parole sono espressioni umane. Io sono strumento di questo annuncio. Tutti, insieme, siamo strumenti dello stesso annuncio, nella misura della nostra speranza e della nostra carità, perché Dio sia veramente il nostro Salvatore.
Natale in sant’Andrea OM 480 Natale 72