incontro con i sacerdoti
Ieri sera, abbiamo pregato il Padre di nostro Signore Gesù Cristo perché ci facesse intendere il suo disegno su di noi. Disegno che svolge nel suo Figlio fatto uomo, nello Spirito Santo, e che consiste nel voler essere il Padre del perdono dei nostri peccati. Per questo che manda suo Figlio nel mondo.
Gesù Cristo, che compie la volontà del Padre, non toglie soltanto il male dal mondo. Vi apporta un bene che il mondo non poteva attendersi. Addirittura vi porta il dono della partecipazione della propria natura, della comunione della propria vita.
E questo disegno del Padre ha una potenza che sovrasta tutte le potenze come ha dimostrato nella risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo. Questa potenza è viva ed è a nostra disposizione.
Allora abbiamo cercato di comprendere in che cosa consiste la vita cristiana. E’ una tensione continua ad essere disponibili all’azione del Padre, per mezzo di Gesù Cristo, nello Spirito, per essere liberati dal peccato.
Tutti i giorni della nostra vita, in qualsiasi istante della nostra esistenza, noi abbiamo bisogno di essere liberati dal peccato, ma dobbiamo essere aperti all’ineffabile dono che Dio fa di se stesso: della sua natura, della sua vita, della sua esistenza. Dono che ha il suo inizio misterioso nella vita presente e che avrà rivelazione piena nella vita futura, quando saremo in comunione tra noi e con il Padre, con il Figlio e con lo Spirito Santo.
Il cristiano deve essere sicuro che Dio non viene meno al suo impegno nel voler compiere il suo piano in noi. Noi cristiani dobbiamo essere sicuri che non c’è nessun ostacolo nel mondo, moderno e non moderno, non c’è nessuna potenza che possa contrapporsi alla potenza di Dio, alla straordinaria ed efficace forza dell’amore del nostro Dio.
Questi che debbono essere i punti saldi per la nostra fede, devono poi essere i punti saldi per il nostro ministero.
Il nostro ministero ha questo di specifico: noi ci identifichiamo come ministri di Gesù Cristo:
perché, come lui siamo strumenti – nelle sue mani – per togliere il peccato dal mondo,
perché i nostri fratelli abbiano la vita e la abbiano in abbondanza;
perché nelle sue mani siamo gli strumenti della fioritura e della maturazione della vita nuova, che è Gesù Cristo portato sulla terra e che si esprime nell’amore vicendevole.
Ora, tutte queste realtà di cui noi siamo garantiti sulla parola di Dio, debbono essere in condizione, per la nostra persona, di stare realmente in primo piano. Il nostro rapporto con il Dio della salvezza: con il Padre di nostro Signore Gesù Cristo, con Gesù salvatore morto e risuscitato, con lo Spirito che vivifica i nostri cuori deve essere quanto mai stabile, stretto, vivo, operante per essere vero, cioè, per vivificarsi in ciascuno di noi.
Noi sappiamo per esperienza quanto è facile che altre realtà -specialmente quelle esteriori -prendano la nostra attenzione, il nostro interesse e anche il nostro cuore. Gesù afferma che non si può servire a due padroni, a Dio e a mammona, e noi siamo nel pericolo di poter servire piuttosto a mammona che a Dio. La nostra natura, che ha un contatto diretto e immediato con tutte le realtà del mondo, che è indebolita nelle sue capacità per dominare le creature che ci stanno intorno, ci mette nella situazione di cadere facilmente in uno stato di dimenticanza e di non chiarezza, al punto che Dio, il suo amore e le sue meraviglie, può diventare un valore secondario, può occupare un posto che non è il suo posto nella nostra vita.
Se noi vogliamo essere ragionevoli si impongono due momenti dell’impegno cristiano o della ascesi cristiana: il momento della mortificazione sensoriale di ciò che ci porta fuori, cioè, difenderci dalla distrazione, fare tutto ciò che dipende da noi – ma con serietà- per non distrarci, per non distogliere l’attenzione, l’interesse, l’orientamento del nostro cuore da Dio, per non lasciare che vada verso le creature. Non potremo difenderci dai rumori o altre cose, ma possiamo difenderci da tutte le curiosità inutili che possiamo avere per il mondo. Dico curiosità inutili! Noi dobbiamo circondarci di raccoglimento anche esteriore.
L’altro aspetto è impegnarci a stare col nostro Dio. L’aspetto caratteristico del cristianesimo è Dio con gli uomini oltre che Dio per gli uomini. Dio vuole stare con l’uomo: “le mie delizie, la mia gioia è stare con i figli degli uomini”. La gioia del padre è avere accanto a se il figliolo che ritorna. La festa che si fa in cielo è per colui che è ritornato. E’ una grave tentazione non stare con Dio per curare i suoi interessi! Invece, è con lui che dobbiamo stare, come lui vuole stare con noi.
Il modo con cui Dio vuole stare con noi è misterioso ma certamente, è molto intimo. Non è per una curiosità che ci scruta sino in fondo. E’ che vuole essere presente a tutta la nostra persona con tutto se stesso, con tutta la potenza del suo amore con il quale vuole realizzare tutta la nostra persona,la nostra personalità.
Questo lo compie lui, e noi ne dobbiamo prendere coscienza. Noi dobbiamo disporci a fare spazio alla sua azione. Dio così grande, così potente rispetta la nostra libertà e in questo sta la nostra grandezza voluta da lui. Lui non occupa nessuno spazio della nostra persona se noi non lo permettiamo. La scrittura ci presenta il nostro Dio come un pellegrino che bussa alla porta ed attende la risposta per entrare.
Quando noi preghiamo dobbiamo pensare con chi ci incontriamo. Ci incontriamo con uno che desidera enormemente di stare con noi e poter fare per noi tutto quello che il suo amore ha concepito. Questo dovrebbe essere il punto chiave della nostra esistenza di credenti, della nostra esistenza di ministri della salvezza, di servi di Dio per ciò che Egli vuole fare per tutto il mondo.
Siete tanto schietti, sinceri, leali e ammettete facilmente la difficoltà di pregare. Mi pare che da questa situazione dobbiamo uscire. Non possiamo confondere gli interessi di Dio con Dio stesso, voglio dire: gli impegni del nostro ministero con il Dio che vogliamo annunziare, comunicare, dare agli altri. Non è egoismo! Non è ricerca di Dio, privatistica, per noi! No. Questo disegno di essere totalmente per ciascuno di noi, è di Dio. E se noi non permettiamo a Dio di realizzarlo per noi stessi, noi non corrispondiamo a ciò che vuole che siamo per lui, anche in ordine al ministero.
-Come posso parlare di Dio se non ho Dio in me? -Come posso essere strumento della sua grazia se non la porto in me viva e vivificante? -Come posso diventare centro d’unione nella carità se non è in me lo Spirito,quel fuoco acceso in mezzo agli uomini, che diventa centro d’attrazione e di unità e di diffusione? Ci vuole un grande atto di coraggio per fare scelte precise, equilibrate, ragionevoli. Ma stiamo attenti che la nostra ragionevolezza non sia il metro con cui misuriamo le cose di Dio. Il metro con cui si misurano le cose di Dio è la fede e questo metro ce lo dà soltanto Iddio.
Possiamo essere garantiti di essere nel giusto se abbiamo davvero pregato al punto che per quella carica che è avvenuta nell’incontro personale con Dio, tutta la nostra azione si trasforma in preghiera, tutto quello che facciamo diventa preghiera nel senso di fare tutto sinceramente per il Dio di questa anima o di questo ammalato, perché è l’amore di Dio che io devo portare a questo giovane, a questo ammalato e non il mio. Il mio amore è valido se è tutto posseduto dall’amore di Dio.
Capite allora come viene logico, naturale un altro aspetto della nostra vita cristiana e del nostro ministero: la mortificazione, la conformità a nostro Signore Gesù Cristo che vive sempre rivolto al Padre, che è tutto crocifisso al mondo e per il mondo. …Abbiate in voi quel medesimo sentimento che fu in Cristo il quale pur essendo in forma di Dio, annientò se stesso divenuto simile agli uomini e ritrovato nelle sembianze come … divenuto ubbidiente… per questo Dio lo esaltò…
Abbiate in voi quei sentimenti che devono ritrovarsi in quelli che vogliono appartenere a nostro Signore Gesù Cristo, che vogliono essere suoi discepoli. C’è una motivazione radicale: innestarci nel mistero della morte di nostro Signore Gesù Cristo per morire con lui, essere sepolti con lui e poter risorgere con lui. Il mistero della morte di nostro Signore Gesù Cristo, che è il momento culminate della espressione dell’amore di Dio per gli uomini e che riconciglia gli uomini con Dio e tra loro e perciò toglie il peccato dal mondo, deve essere vissuta da noi. Non possiamo incontrarci col nostro Dio se non ci incontriamo col suo amore e non possiamo incontrarci con l’amore senza imbatterci nel mistero della passione e morte di nostro Signore Gesù Cristo.
In noi ci deve essere una consonanza con Cristo che muore. Che muore tutto il tempo della sua vita: “hai rifiutato vittime ed olocausti, mi hai rivestito di un corpo ecco o Padre che io vengo per compiere la tua volontà” E’ tutta la vita di Gesù! Dice l’autore della Imitazione: tutta la vita di Cristo fu una croce e un martirio.
Non è che Gesù non abbia amato e gustato la vita, i doni della vita di cui una creatura può essere circondata. Ma, quanti disagi, quanta fatica, quanta sofferenza, quanti dolori e pene e umiliazione ha accettato nostro Signore Gesù Cristo! E poi la sua passione umiliante e la sua morte isolata! Possiamo pretendere di appartenere a nostro Signore Gesù Cristo, di avere il diritto e l’ardire di parlare di nostro Signore Gesù Cristo se non lo conosciamo com’egli è? Conoscerlo nel senso biblico del contatto sperimentale con questo mistero di vita di nostro Signore Gesù Cristo sulla terra, che continua nella sua chiesa con la presenza e l’azione e quindi con la forza dell’amore del Padre, nella celebrazione liturgica specialmente dell’eucaristia?
Per noi ministri dell’eucaristia, per noi che celebriamo la messa, la mortificazione e la penitenza non sono cose superflue, contengono tutto il loro senso, il loro valore, la loro efficacia e sono indispensabili. Ognuno di noi deve guardare a se stesso sempre con lealtà, con chiarezza, con coraggio e chiedersi dove è la sua conformità a Gesù Cristo morto e sepolto.
Riprendiamo o e sottolineiamo un particolare della lettera di Paolo ai filippesi: Gesù annientò se stesso. Noi sappiamo come fossero negli anni passati e come sussistono certe pretese – per se legittime- ma che non tengono conto della vita cristiana. Avere, esprimere, realizzare la propria personalità è molto ambiguo! Potrebbe significare lo stesso che sottrarsi alle esigenze di Dio per sottomettersi a presunte nostre esigenze. E’ Dio che ci salva, ci salva in persona, ed è Lui che edifica la nostra personalità. Non dico: psicologicamente, culturalmente, come temperamento, come carattere, ma nell’ordine dei valori: per ciò che vale, per ciò che può contare tra i fratelli la persona. E non sceglie per ognuno di noi uno schema diverso da quello che ha seguito il Figlio suo, il salvatore del mondo.
Perché: < nella misura in cui si affermano il nostro orgoglio che si insinua ovunque, il nostro egoismo sempre pronto a giustificarci, la nostra poca buona volontà di sacrificarci, di prendere le cose sul serio, la nostra sensualità tanto pericolosa, si afferma l’insensibilità di percepire le cose di Dio. Quindi, pensiamo ad annientare noi stessi, il nostro modo di pensare, i nostri punti di vista. Ognuno di noi pensi a se stesso.
Il frutto maturo di una vita cristiana così concepita non è altro che questo: costituire di tutti una famiglia di figli suoi e di fratelli tra noi, animati da un unico sentimento “un cuor solo e un’anima sola” . Egli che è carità, attraverso tutto ciò che compie per noi e in noi vuole arrivare a questo punto terminale di diffondere il suo amore per mezzo dello Spirito che ci è stato dato.
Lo Spirito che ci è stato dato nel battesimo, nella cresima, nella consacrazione sacerdotale è per questo scopo, è per rispondere alle esigenze dell’amore di Dio manifestate in nostro Signore Gesù Cristo: “amatevi come io vi ho amato ” “questo è il mio comandamento nuovo” in questo riconosceranno che siete miei discepoli: se vi amerete gli uni gli altri”.
Scusate se mi ripeto ma ci sono dei punti del nostro essere come presbiteri, che se non si attuano, se non diventano evidenti, tutto è vano. Il punto che ci indica nostro Signore Gesù Cristo, che ha indicato ai suoi discepoli, ai suoi apostoli è questo: volersi bene. Che fatica a volerci bene! Questo avviene in tutte le categorie professionali, ma tra noi che cosa c’è che ci tiene così separati? Non penso a inimicizie e gesti esteriori clamorosi, ma alla mancanza positiva di un amore vicendevole, che è lo stare volentieri con i propri fratelli che viene subito dopo allo stare volentieri con il proprio Dio, che è la disponibilità con tutto il proprio essere umano, cristiano, sacerdotale, per i nostri confratelli nell’impegno pastorale.
La pastorale sacerdotale è la pastorale di voler bene ai preti. Non dico di volere bene solo al parroco o solo al curato. In alcuni vicariati, in alcuni gruppi di parrocchie io so che siete servizievoli gli uni per gli altri e disponibili. Ma questo non basta. Ci sono manifestazioni che dicono che l’amore non c’è.
OM 518 Sacerdoti 74