domenica 28 marzo per l’ordinazione presbiterale in sant’Andrea
Il mio ministero in questo momento è impegnato, sotto l’azione dello Spirito Santo che opera in me e nelle vostre persone, a farvi intendere il significato di ciò che accade in mezzo a noi.
Tre nostri fratelli tra poco, per le imposizioni delle mani, diventeranno presbiteri e saranno in grado di presiedere la comunità cristiana. Questo indubbiamente per la loro preparazione, ma soprattutto e fondamentalmente per l’azione che Dio compie in loro e li trasforma in uomini nuovi, cioè, non più semplicemente come suoi figli, ma anche come suoi “inviati”, come suoi “incaricati”. San Paolo dice: come suoi ambasciatori.
C’é nella chiesa, oggi, un certo senso di inferiorità, di rispetto umano, nel dire le cose come sono, come Dio le ha fatte e non come le hanno fatte gli uomini. Ambasciatori di Dio il vescovo e i sacerdoti lo sono, perché costituiti da nostro Signore Gesù Cristo e trasformati radicalmente dalla potenza della forza della sua grazia. Se questa trasformazione molte volte è celata oppure oscurata dalla opacità della nostra natura, dalla nostra povertà, dalla nostra miseria, é perché Dio non ci toglie dalla condizione che é comune a tutti i nostri fratelli.
Questo avvenimento accade oggi mentre celebriamo la messa anticipata della quarta domenica di quaresima, comunemente conosciuta col nome di “domenica laetare” perché la celebrazione incomincia con le parole “rallegrati”. Noi ci dobbiamo rallegrare. E’ tempo di quaresima! E’ tempo di penitenza, di austerità, di digiuno e di raccoglimento, ma tutto questo noi lo dobbiamo fare nella santa allegrezza dei figli di Dio, che vanno incontro al loro Dio cercando di conoscerlo sempre meglio. E Lo conoscono sempre meglio proprio in questo itinerario della quaresima attraverso i testi dalle letture sacre che la chiesa, certamente guidata dallo Spirito Santo, dispone per la nostra meditazione e per la nostra edificazione.
Perché dobbiamo rallegrarci? Dobbiamo rallegrarci perché Gesù Cristo nella parabola del figlio prodigo ha espresso l’avventura più gioiosa che ci possa essere per gli uomini. La parabola del figlio prodigo ha due poli. Il primo polo é il figlio che dissipa tutte le sue sostanze lussuriosamente, vivendo secondo il vangelo del mondo, secondo le indicazioni della felicità che provengono dal mondo, e che hanno una fine molto accelerata, molto deludente e triste. L’altro polo, quello più decisivo, è il padre che rispetta il figlio nella sua ribellione, che non dimentica questo figlio nella sua ingratitudine, che attende pieno di speranza di riabbracciare questo suo figliolo che era perduto, che era morto e che sogna di poterlo stringere ancora vivo al suo petto.
Ecco i due estremi che definiscono la gioia. Il vangelo è gioia. Il Vangelo é il lieto annuncio che Iddio ci attende per perdonarci, che Iddio ci aspetta con una pazienza infinita per accoglierci. Perdonarci, per Dio che é nostro padre, significa riammetterci nella intimità della sua casa, nella partecipazione della sua vita e di tutti i suoi beni. Allora l’apostolo Paolo fa la forte e insistente raccomandazione: “Vi supplichiamo nel nome di Cristo lasciatevi riconciliare con Dio”.
Io questa sera con voi faccio una constatazione. Constatiamo insieme che i sentimenti di Dio nei nostri confronti, sono rafforzati dal momento che ci dà la grazia di avere altri tre fratelli, che fungeranno da “ambasciatori” da parte di Cristo, ed è come se ci esortasse per mezzo di loro e ci dicesse: “in nome di Cristo, lasciatevi convertire”. Così dobbiamo vedere questi nostri fratelli.
Che cosa c’è in loro? Che cosa ci sarà in loro? Perché sono arrivati a questo punto? Vorrei soffermarmi un istante per dirvi il motivo per cui sono arrivati al punto di accettare che Dio faccia di loro i suoi ambasciatori, di accettare di andare in mezzo ai fratelli per scongiurarli affinché si lascino riconciliare con Dio con il potere che hanno ricevuto, per l’esercizio del ministero, di sprigionare la potenza della misericordia di Dio per tutti gli uomini. Sottolineo, per tutti gli uomini perché Iddio ha fatto del suo Cristo il peccato in persona – Egli che non aveva peccato – perché noi diventiamo giusti davanti a Dio.
Perché, sono arrivati a questo punto? L’esame é stato fatto nel tempo nella loro permanenza in mezzo a noi, nella comunità parrocchiale e particolarmente in seminario e tutti siamo convinti – e se non lo fossimo cesseremmo immediatamente questa celebrazione perché non varrebbe la pena di andare avanti – che essi conoscono bene le parole di san Paolo: “Fratelli, l’amore del Cristo ci spinge al pensiero che uno e morto per tutti e quindi tutti siamo morti”.
Questi nostri fratelli, come tutti i miei sacerdoti, come il vostro vescovo, ad un certo punto della esistenza abbiamo capito che l’amore di Cristo diventa una esigenza al pensiero che egli e morto per tutti e quindi noi dobbiamo essere disposti a morire con lui per la salvezza dei nostri fratelli, perché i nostri fratelli diventino giusti della giustizia di Dio. “Egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi ma per Colui che è morto ed è risuscitato per loro”. Così che noi abbiamo acquistato, per la misericordia di Dio, una capacità nuova di vedere le cose non più secondo la carne,ma secondo lo spirito. Il sacerdote che ha una visione di fede del mondo, della storia degli uomini e dei suoi fratelli, nella missione che gli è data da Dio per cui Dio lo costituisce ambasciatore, non giudica i suoi fratelli. Il Sacerdote guarda i suoi fratelli, li vede, li valuta come li vede, li guarda, li valuta il Padre, che è in attesa di riabbracciare questi suoi figli perduti.
Il motivo è sempre lo stesso: noi abbiamo conosciuto Cristo non secondo la carne ma secondo lo Spirito, perché tutti i giorni abbiamo la grazia di conoscere così Gesù Cristo e di conoscere così i nostri fratelli.
Capite miei cari, in quale posizione noi ci troviamo? Non è una posizione di prestigio o di potere che ci pone sopra agli altri. La nostra posizione é quella di uomini che hanno un dono bruciante posto da Dio nelle loro mani, che equivale alla ricchezza dell’amore di Dio messo a disposizione di ciascheduno di voi a condizione che voi accogliate il nostro ministero. Lo potete accogliere, ma potente anche non accoglierlo perché Dio non forza nessuno. Il sacerdote non costringe nessuno. La chiesa non obbliga nessuno.
C’è la potenza della soavità dell’amore di Dio da una parte, e c’è il vuoto desolante di quelli che sono lontani da Dio perché non lo conoscono a sufficienza, che determina il movimento nel quale si pone l’esercizio del nostro ministero per congiungere i due poli: il figlio che si è allontanato, il padre che lo attende per l’abbraccio cordiale. Era perduto ed è stato ritrovato. Che gioia miei cari. Noi sacerdoti questa gioia l’abbiamo già sperimentata, ma la sperimenterete anche voi forse fin da domani.
Uno dei tre mi diceva: dopo la funzione non se ne vada via subito perché dobbiamo chiederle, la facoltà di confessare. Confessare, certamente sarà l’emozione più grande. Più grande di quella della celebrazione della Messa! Voi, davanti al vostro fratello che vi dice: beneditemi perché ho peccato, dal momento che egli si lascia riconciliare voi lo riconcilierete con Dio e realizzerete la parabola del figliolo prodigo. Ricordate che diventate ministri della riconciliazione non solo quando siete in confessionale, ma sempre. In ogni atto del vostro ministero, voi siete in questa funzione di riconciliare gli uomini con Dio.
Direte: e gli uomini tra loro non li dobbiamo riconciliare? Sì. Senza dubbio perché sono tutti i figli del Padre. Ma quali difficoltà ci sono per riconciliare i fratelli tra loro! Lasciate che vi dica, terminando queste mie non mai brevi parole, un rilievo che rattrista.
Rattrista l’atteggiamento del figliolo maggiore, l’unico che non gode la festa per il ritorno del figlio perduto e del fratello ritornato a casa. Lui aveva sempre fatto il suo dovere! Lui,..lui…la festa non era per lui! Miei cari, diciamo le cose con molto realismo e anche con un certo coraggio e non disgustiamoci. E’ facile, proprio per noi che veniamo in chiesa, prendere l’atteggiamento del figlio maggiore che non gode della festa della riconciliazione dei propri fratelli, che non gode del ritorno degli altri, che vuole vantarsi di una sua giustizia e non vuole riconoscere che tutto è frutto della misericordia di Dio.
Continuiamo la nostra celebrazione.
Pensiamo a quello che accade per la misericordia di Dio verso la sua chiesa mantovana, in questi momenti di grazia.
OM 532 ordini 77