a Smarano nel 1977 per le religiose
Cercherò di svolgere i temi che mi sono stati assegnati.
Da qualche tempo a questa parte si fa un gran parlaredell’inserimento dei religiosi nella pastorale della chiesa. Indubbiamente questo è un frutto del Concilio. Questo è il frutto dello Spirito che matura le coscienze in senso ecclesiale e ci fa entrare, tutti, nel mistero e nella realtà e nella istituzione della Chiesa come l’à voluta nostro Signore Gesù Cristo.
Quando si fa un gran parlare di un tema, bisogna stare un po’ in guardia. Nel gran parlare ci possono essere grandi confusioni. Allora cerchiamo di mettere alcuni punti chiave, per quanto sarà possibile, sul senso della disponibilità dei religiosi ad inserirsi nella pastorale. E’ una realtà nuova che oggi si verifica nella chiesa.
La responsabilità della chiesa sta nell’accogliere questa novità nell’ambito della sua missione. In parole più povere: da una parte c’è la volontà dei religiosi e delle religiose di mettersi nella pastorale diocesana, dall’altra ci sono i vescovi e i preti che sono -più o meno- preparati ad accogliere questa disponibilità. Anche i vescovi, che hanno sempre desiderato di avere i religiosi a disposizione della attività pastorale di cui sono responsabili, non sempre sono preparati ad accogliere concretamente i religiosi.
I vescovi hanno i loro limiti che provengono dalla storia, da una certa formazione e quindi hanno una determinata mentalità. Noi ci troviamo nella diocesi di Brescia. Non pochi anni fa il vescovo di Trento era principe. Io ho avuto la ventura di conoscere mons. ( ). Era principe a tutti gli effetti. Molti vescovi nella chiesa italiana, e non solo italiana, che godevano di queste prerogative assumevano l’atteggiamento del principe. Anche se erano santi uomini! Anche se erano uomini di Dio erano portati alla tendenza di dominio e di autoritarismo. Sono tramontati i principi. Non si può affermare che siano tramontati interamente gli atteggiamenti. Un certo autoritarismo si può ancora cogliere. Teniamo in conto che questo non è un elemento della vita della chiesa e tanto meno della vita cristiana.
Scendendo di un gradino troviamo i “baroni” che sono i parroci. I parroci di certe zone …!Dall’abate di Asola, per esempio, ricevo ancora lettere a quel proposito. E’ un fatto che il prete, fino ad alcuni decenni di anni fa e in qualche parte ancora oggi, è il personaggio principale nella comunità paesana tanto religiosa, come civile.
Bisogna che conosciamo queste situazioni per non correre il rischio di trovare i padroni dei religiosi o delle religiose. Non vi dovete meravigliare se questa vostra apertura -di mettervi a disposizione della pastorale- trova accoglienze spadroneggianti. State attente e difendetevi. Non è giusto che nella chiesa santa di Dio, qualcuno diventi padrone. Nessuno è padrone. Questo è uno degli inconvenienti più ovvi che si possono presentare nella realizzazione della nuova situazione che viene creandosi.
Come deve essere la vostra disponibilità? Prima di tutto e sembra una cosa ovvia, però non lo è, che vi dovete inserire nella realtà locale diocesana e parrocchiale, da religiose. Non vi dovete inserire come le giovani o come i meno giovani. Dovete inserirvi per quello che siete e non per quello che farete.
La chiesa locale, è la Chiesa. La chiesa universale è una astrazione ed è fatta dalla unione di tutte le chiese locali, e quindi la chiesa reale è quella locale in comunione con tutte le chiese cui presiede la chiesa di Roma. La chiesa locale viene prima del vostro inserimento, non solo della vostra attività, ma anche all’inserimento nell’Opera vostra. Fino ad oggi i religiosi hanno dato la loro opera alla chiesa, ma non hanno badato che era più necessario vivere nella chiesa, essere nella chiesa, essere della chiesa. Una chiesa senza vita religiosa è una chiesa senza un elemento strettamente necessario.
Nella chiesa locale non basta che ci sia la presenza materiale di una comunità, è indispensabile che ci sia un rapporto effettivo di inserimento, di comunione, quindi anche di disponibilità alle esigenze della chiesa locale. Ma dicevo, il punto è questo: una chiesa senza vita religiosa e senza la espressione della vita religiosa è una chiesa povera.
Cosa dovete portare alla comunità locale? Dovete portare il vostro essere specifico di religiose. Prima di essere catechiste, liturgiste, eccetera, dovete essere religiose. Ciò che vale per la chiesa locale è la vostra consacrazione, è il vostro “essere segno” della fede nella grande realtà verso cui tende la chiesa: l’amore di Dio. Cioè, dovete portare il vostro essere di persone che credono talmente all’amore di Dio, che consacrano se stesse a Dio perché scelgono Dio come loro principale interesse di vita.
E la chiesa, sposa di Cristo, non siete voi individualmente. Voi nella chiesa avete il compito di essere il “segno” della santità della chiesa, il segno della vita della chiesa, sposa preoccupata di piacere al proprio sposo, sposa che ha un cuore indiviso perché appartiene totalmente allo Sposo. Di questo ” segno” ha bisogno la chiesa locale perché, in nessun altro stato di vita, questo è espresso come lo è dalla consacrazione religiosa.
Conseguentemente, se con la vostra consacrazione esprimete la sponsalità della chiesa, diventate anche l’espressione della maternità della chiesa. La chiesa è madre. Non può essere madre se non è sposa. Non può essere madre nell’ordine della grazia della salvezza se non è totalmente posseduta dallo Spirito Santo. “lo Spirito Santo discenderà su di te”; “si faccia di me secondo la tua parola”. Vedete che siamo sulla linea della consacrazione?
A voi nella chiesa locale non importa fare una cosa piuttosto che un’altra, ma dovete dire ai vescovi, che prima di chiedere la disponibilità delle religiose per compiere la loro opera piuttosto che un’altra, devono desiderare nella loro chiesa l’inserimento dei religiosi in quanto religiosi, in quanto consacrati a Dio che esprimono la realtà dell’amore di Dio e sono segni dei beni futuri. Questo è un punto messo in evidenza dal concilio.
Come può essere completa la chiesa se non ha l’indicazione chiara che bisogna tendere alla vita eterna, se è priva della dimensione escatologica, della tensione verso i beni futuri, verso Gesù Cristo che sta per venire per tutti i fratelli, che nella loro condizione di vita sono protesi prevalentemente verso i beni terrestri? Non è detto che questi beni sono un male. Sono beni limitati che non valgono una vita, che non meritano una esistenza. Chi lo dimostra questo con chiarezza? Lo dimostra il religioso o la religiosa. Se siete religiose, voi siete le benvenute nella chiesa locale, perché portate questi valori essenziali. Se non portate questi valori, non portate niente di nuovo e non portate quello di cui la chiesa ha estremamente bisogno.
Si potrebbe allargare il discorso facendo riferimento alle espressioni di vita religiosa più che agli impegni della vita religiosa, quindi alla vostra espressione di povertà, di castità, di obbedienza. Nella chiesa fate poco se nel vostro costume di vita non siete sinceramente un “segno” del distacco dalle cose terrene. Potete fare lezioni di catechismo e non volgono niente. Direte, se non valgono neppure le nostre lezioni di catechismo, valgono quelle dei laici?. Vale la testimonianza. Vale essere “segno”
E’ difficile la testimonianza della castità perché il mondo non comprende. Vedete in quale mondo viviamo, vedete che è immerso nel disordine di sensibilità, di sentimenti, di espressioni, e di valori. Importante è che ci crediamo noi. Importante è che la castità sia una realtà profonda della nostra persona e che traspaia. Quanto bisogno c’è nella chiesa della vostra presenza casta, perché ci sia il “segno” di un amore non imprigionato dalle persone e dalle passioni, ma aperto a tutti perché è aperto a Dio.
Indubbiamente l’obbedienza va intesa bene. Deve essere il “segno” nel mondo della nostra dipendenza da Dio, Deve essere il “segno” tra gli uomini di oggi che non è possibile una autonomia assoluta della persona umana da Dio. < Deve essere il “segno= tra gli uomini di oggi che non è possibile che la persona sia il centro a cui tutto deve essere riferito. Dove sta il peccato così detto originale? Sta nella pretesa dei progenitori di mettersi al posto di Dio per distinguere il bene dal male come ultimo criterio di valutazione come pretesa di autonomia completamente sganciata da Dio creatore. Possiamo essere padroni del mondo ma non siamo padroni di noi stessi perché un Altro ci ha fatto e un Altro è il termine della nostra esistenza.
Quale insidia minaccia le nostre popolazioni incapsulate nella ideologia marxista che considera l’uomo come un essere capace di realizzazione sociale o di socializzarsi, ma nega che l’uomo in se stesso abbia un valore, e che questo valore sia tutelato da Dio. Negando Dio si nega anche la dignità dell’uomo.
E’ espressione di obbedienza anche la coscienza della nostra grandezza che ci viene da Dio, il sentimento della gratitudine del dono della vita, il rispetto delle creature di Dio, a qualunque livello di creazione, dai passeri, agli astri, al bambino. L’obbedienza è composta da tutto questo: riconoscimento che Dio è creatore di tutto, che tutto ciò che egli ha creato ha il valore che lui solo può determinare e, se ha mandato il Figlio suo nel mondo per la salvezza del mondo e dell’uomo, vuole dire che per Dio sono il più grande valore. Invece i valori economici, culturali, politici, sociali sono esaltati rispetto al valore della persona e al valore della vita.
Essere impregnati di questa consapevolezza è essere espressione di obbedienza nella Chiesa e dipendenza da Dio, è essere un “segno” elevato e luminoso in mezzo al marasma delle ideologie borghesi, capitaliste, marxiste, nichiliste, eccetera.
Mi premeva mettere in risalto a quale condizione dovete inserirvi nella chiesa locale come religiose.
Un secondo impegno. Facciamo un salto di qualità. La prima condizione è radicale e fondamentale. Non può essere paragonata a nessun’altra condizione per essere inseriti nella vita e nella missione della chiesa.
La seconda condizione di ordine strumentale, è quella della preparazione specifica in ordine ai propri compiti da svolgere su mandato della chiesa, come servizio della chiesa. Oggi il mondo purtroppo, per certi fenomeni di carattere politico, va squalificandosi. In particolare vanno squalificandosi le istituzioni: la scuola, i servizi sanitari, eccetera. Noi non dobbiamo seguire l’andazzo del mondo. Allora, i servizi che noi facciamo nella chiesa, di qualunque tipo, dalla catechesi alla scuola, alla animazione liturgica, alla assistenza agli anziani, – compreso il servizio della cucina- devono essere servizi qualificati che fanno onore al nostro Dio che ha fatto bene tutte le cose.
A Dio è piaciuto e piace fare le cose belle e bene, con vera competenza. Naturalmente la competenza deriva da una preparazione. Pensate ad istituti di antica fondazione che sfornavano numerosi membri per l’azione richiesta in quei tempi, ma in condizione di preparazione culturale inferiore a ciò che esprimevano. Una suora che andava a fare l’asilo in paese, sì e no, sapeva scrivere, ma nella opinione e nel giudizio pubblico figurava come persona colta all’altezza dei compiti che svolgeva. Oggi questo non è più possibile! Tutte le religiose dovrebbero avere almeno il livello di cultura della scuola di tutti. Oggi ci sono impegni specifici che non si possono portare avanti con una preparazione generica.
Non pretendo, non consiglio una preparazione specialistica. Ci potranno essere soggetti destinati ad una specializzazione per servire a tutta la comunità e in determinate situazioni anche agli altri, ma ci deve sempre essere la preparazione specifica adeguata al proprio compito. Parlo della preparazione come creature umane che devono vivere in mezzo ai fratelli, oggi. Ieri poteva essere anche diverso. < Ne viene di conseguenza che le nostre attività, i nostri servizi devono essere qualificati,si devono distinguere dagli altri, perché se noi svolgiamo un’opera in grazia di Dio come consacrati a Dio, dobbiamo svolgerla a livello di grazia di Dio, a livello di consacrazione. La grazia di Dio perfeziona la natura, la eleva, la esalta. Tutto ciò che io faccio come creatura di Dio deve essere esaltato dalla grazia di Dio. La mia azione non è qualificata perché tengo in mano la corona mentre faccio scuola.
L’azione è qualificata perché è fatta bene, con competenza, con la preparazione adeguata. Qualunque azione. Noi dobbiamo far fare “bella figura” al buon Dio, che ha fatto bene e belle tutte le cose. Dobbiamo essere persone che fanno bello tutto quello che toccano. Dio ogni sera si fermava, guardava il lavoro del giorno e vedeva che era tutto bello ciò che aveva fatto. Bello vuole dire, sereno, accogliente, ordinato, confortevole.
Voi siete preoccupate di partecipare soprattutto alla pastorale della chiesa. Tutto quello che vi ho detto entra nell’ambito della pastorale. Con la vostra azione prende risalto anche la vita liturgica! Quale salto di qualità avete già compiuto nella vita di pietà, rispetto a come era concepita dieci anni fa! Noi dobbiamo attingere a nostro Signore Gesù Cristo per vivere la vita cristiana che da lui promana a noi come da vite ai tralci, attraverso la Parola di Dio e attraverso tutti i sacramenti. Allora la celebrazione dei sacramenti, che ha il suo culmine e la sua sorgente nella celebrazione eucaristica, deve costituire la sorgente e il culmine della nostra vita cristiana.
Eravamo abituati alla Messa e Rosario, alla Messa e Via crucis, alla Messa e preghiere varie. Diamo ai pii esercizi la loro importanza. Non spegniamo i lucignoli anche se sono fumiganti perché è sbagliato, ma dobbiamo acquistare una capacità sempre più acuta e penetrante di fare nostra l’azione liturgica. L’introduzione al nuovo messale definisce la Messa azione di Cristo e del popolo di Dio. La Messa non è solo l’azione del prete. L’azione del prete, da solo, non ha senso. Il prete compie l’azione liturgica a nome vostro. Come presta la sua voce a Gesù Cristo, così presta la sua voce a voi e con voi a Gesù Cristo, che compie ciò che avviene nell’azione sacramentale. Voi dovete essere attive perché siete voi che contate nell’azione che si compie.
Proprio come religiose, dovete diventare le animatrici di tutta l’azione liturgica dal battesimo al matrimonio. Il frutto di tutta l’azione pastorale è costruire, edificare delle comunità fondate sull’amore reciproco, è formare delle comunità di gente che sa comunicare. Notate: la vostra vita di comunità, la vostra vita di comunione nella carità, è la sostanza della vita religiosa ed è anche la sostanza della vita cristiana. Poco importano mille parrocchiani in grazia di Dio che vanno ognuno per proprio conto. E’ molto meglio se hanno la capacità di compatirsi, di tollerarsi, di volersi bene. Quanta poca comunità c’è nelle nostre comunità religiose, parrocchiane, diocesane, eccetera!
L’argomento sulle qualità e compiti delle persone di governo implica il problema del potere e dell’obbedire.
Tutti sanno che siamo tributari del costume di una storia antecedente a noi. Tutti sanno che un costume determina una mentalità e quindi dei rapporti in seno ad una comunità. Tutti sanno come la mentalità è la parte di noi più difficile da cambiare. Quando Gesù, nel vangelo parla di conversione noi per esprimerla usiamo la parola “metanoia” che è entrata nel linguaggio corrente e che equivale al termine “rovesciamento”. Non si tratta di cambiamento di abitudini, di correzione di un difetto, di modifica dell’aspetto della persona, ma di un rovesciamento totale, un capovolgimento dall’interno.
Questo cambiamento di mentalità è molto difficile. La problematica legata ai rapporti autorità e obbedienza si protrarrà ancora nel tempo. Non mi sento di fare problematiche. Ci sono alcune cose chiare, ma il combinarle con la trasformazione di costume avvenuta in questi tempi, è estremamente complicato. Ci troviamo dinanzi a due poli. Non è detto che il polo negativo sia chi deve obbedire e viceversa. Sono due poli. E’ un fatto che Dio manifesta la sua volontà attraverso una legge scritta, i comandamenti, attraverso le circostanze concrete della nostra esistenza,nelle istituzioni legittime che per noi è la chiesa, in quanto la chiesa riceve da nostro Signore Gesù Cristo un vero potere.
Gesù si presenta al giudizio dei farisei quando gli portano il paralitico.
“Ti sono rimessi i peccati”-
“Chi ha il potere in terra di rimettere i peccati se non Dio?”-
“E’ più facile dire ti sono rimessi i tuoi peccato o alzati e cammina?”
“Affinché sappiate che il figlio dell’uomo ha il potere di rimettere i peccati….” E’ una espressione del potere di nostro Signore Gesù Cristo. Rimettere i peccati non significa cancellare una macchia, ma mettere in movimento due volontà o anche più volontà: la volontà di Dio che ha delegato questo potere e la volontà dell’uomo che deve ritornare a Dio e in uno stato di riconciliazione rispetto ai fratelli.
La gente rimane meravigliata che questo potere sia dato agli uomini. Con quale autorità tu vai predicando. “Se io vi dico…voi non mi credete, se…non volete credere a me credete alle opere”. Gesù Cristo ha l’autorità di parlare nel nome del Padre. Parla come il Padre. Lui e il Padre sono una cosa sola. Gesù ha il potere di dare la vita “io do la mia vita e ho il potere di darla è di riprenderla” Gesù ha il potere non solo sulla sua vita ma su tutto “io sono la vita “, “sono venuto per comunicare la vita perché chiunque crede in me abbia la vita”
C’è un potere in nostro Signore Gesù Cristo e questo potere lo conferisce ai dodici, alla chiesa ed è il potere di evangelizzare e trasmettere la vita per la salvezza della moltitudine. Di questa natura del servizio se ne parla molto però,… mettersi al servizio, spendersi per gli altri, non accettare niente per sé.?!
Pensate al vescovo che è invitato per decorare la fèsta! Si sente dire: che onore, viene in casa nostra! E’ la manifestazione di una mentalità, di una concezione del vescovo. Gesù dice: non ambite ai primi posti e racconta la parabola “quando sei invitato non andarti a mettere al primo posto.. Questa concezione estremamente evangelica dovrebbe essere accompagnata da espressioni convenienti con le persone di oggi.
Le persone di oggi contestano l’autorità nella chiesa. E’ sbagliato perché contestare l’autorità è contestare la salvezza, è contestare la possibilità di essere evangelizzati, santificati, ricondotti all’ovile, ma contestare certe manifestazioni dell’autorità può essere legittimo.
Prima di parlare dei compiti delle persone di governo dobbiamo mettere in evidenza l’aspetto dell’obbedienza che entra nel discorso di riconoscere Dio come nostro creatore, autore della nostra vita e dei doni che accompagnano la nostra vita. Particolarmente il dono del suo amore. L’obbedienza è aprirsi a ricevere l’azione dell’amore di Dio, è accettare di essere creature di Dio, allora accettare di essere creati e accettare di vivere viene da Dio e non da noi.
L’obbedienza è accettare di essere amati da Dio. Su di noi egli ha un suo disegno specifico, particolare, inconfondibile, che non possiamo portare a compimento noi con le nostre mani e con le nostre forze, ma se gli diamo la possibilità di operare in noi, anche attraverso quegli strumenti che manifestano la sua azione nel mondo, egli compie il suo disegno.
Parlando in un ambito religioso dobbiamo servirci degli strumenti coi quali Egli porta avanti il disegno della edificazione della nostra persona, per mezzo della evangelizzazione, della santificazione, dell’animazione dell’amore che troviamo nella chiesa. Ecco il motivo dell’inserimento della vita religiosa nella chiesa e, questo inserimento lo troviamo nell’istituto che ha una partecipazione di potere della chiesa. Se non accettiamo questo, ci mettiamo fuori del gioco della salvezza.
Quanto più le situazioni si fanno concrete, tanto più il discorso è difficoltoso. Il superiore manifesta sempre la volontà di Dio? ..No?!.. Credo…! Penso di non esporre in modo organico questo tema. Incomincio a parlare delle qualità delle persone
che, negli istituti esercitano il potere.
Prendere un atteggiamento di servizio quando si deve manifestare la volontà di Dio, è mettersi in uno stato di grande trepidazione. Noi umilmente possiamo presumere di esprimere la volontà di Dio quando abbiamo esaurito tutti i mezzi della ricerca della volontà di Dio, prima di tutto su di noi, sul nostro compito e su quello che vogliamo indicare agli altri.
Parlare nel nome di Dio è tremendo.
Io, fin che mi trovo davanti una pagina del vangelo e faccio l’omelia, non ho grandi difficoltà a parlare nel nome di Dio perché dico parole di Dio, ma quando ad un sacerdote devo dire “vai là” e lui potrebbe dirmi “matto”.! Dove si pone la sicurezza? Si pone soltanto nel grado di fede di ciascuno: di chi cerca di interpretare la volontà di Dio e di chi accetta questa espressione della volontà di Dio.
Non voglio semplificare le cose in modo semplicistico: si fa un atto di fede. Io ritengo che, anche se la soluzione può sembrare semplicistica, questa in fin dei conti sia la soluzione. Direte che è una risposta semplicistica ma io di risposte più precise non ne ho. Se una persona venisse a pormi un caso, io sarei disposto a considerare tutte le ragioni,in un atteggiamento di dialogo e di corresponsabilità nella ricerca della volontà di Dio. Se ad un certo punto scopriamo che c’è una volontà e non la volontà di Dio, la conclusione non è facile ma accettiamo la volontà di Dio.
OM 669 Suore 77
Suore di Asola a Smarano nel 1977