San Simone di Gallipoli 28/07/1978 ore 17:30
Tentiamo di dire qualche cosa sull’aspetto più impegnativo del nostro ministero che è quello della testimonianza e, se volete, dell’esperienza.
Sta di fatto che la Parola, il Verbo, si è fatta presente nella storia della salvezza e nella storia in genere in modo sperimentale, in un modo visibile: insiste san Giovanni. I “mirabilia dei”, però, sono percepiti solo da chi crede, all’interno di una esperienza religiosa.
I “mirabilia dei”: il miracolo in genere, anche la risurrezione, non sono di per se dei fatti imponenti che tolgono la libertà, per cui si deve necessariamente dare la propria adesione. Diventano convincenti, diventano impegnativi solo all’interno di un atteggiamento di ricerca umile, in un atteggiamento di povertà, in un atteggiamento di chi è convinto di avere bisogno di salvezza. Questo, lo leggiamo in tutti i fatti dell’antico e del nuovo testamento.
Dio si propone alla libertà, ma si propone a chi ha il cuore netto, cioè a chi lo vuole Dio e non a chi non lo vuole, vuole fare senza, vuole fare a meno, a chi cerca altro, a chi fosse soltanto curioso di vedere come vanno le cose nell’ambito del fatto religioso. Questo è importante da tenere presente, quando noi parliamo di testimonianza da offrire agli altri e parliamo di esperienza, nella quale entrare, per essere davvero in grado di dare testimonianza, di essere quelle persone che hanno visto, che hanno toccato con le loro mani, che hanno conversato, che si sono intrattenuti con Dio che li ha ammessi a una comunione di vita con sè.
Questo è accaduto per la parola fondante, cioè al tempo in cui i “meraviglia dei” sono accaduti storicamente. E’ avvenuto questo fenomeno. C’è stato chi ha creduto e chi non ha creduto. Pensate alla folla che ha mangiato il pane moltiplicato da Gesù. E Gesù, questa folla la rimprovera, quando lo cerca: “mi cercate perchè avete mangiato quel pane”, “non perchè vi interessi quello che io voglio dirvi”. Allora, presi così in contropiede, alcuni dicono e chiedono: “quali sono le opere che dobbiamo fare per piacere a Dio?” E Gesù incomincia il grande discorso della parola di vita, del pane di vita, del pane che discende dal cielo. Però, al termine di questo discorso, anche tra i discepoli, si determina una divisione. Alcuni di loro: “durus est his sermo” e se ne vanno. Rimangono solo quelli che hanno un principio di fede, hanno un minimo di disponibilità. In qualche modo, ci fa sempre meraviglia il fatto che Gesù si sia manifestato, dopo la sua risurrezione, soltanto a testimoni preordinati. Cioè si è manifestato a persone che lo aspettavano, a persone che erano disposte ad ammettere che lui era il risorto, che lui era ciò che aveva proclamato.
E, una adesione completa, Gesù la raccoglierà soltanto in seguito alla grande esperienza della venuta dello Spirito Santo, di Pentecoste. Perchè ancora, al momento in cui Gesù sta per salire al cielo, gli chiedono….ecco io vado al padre….e non mi chiedete …noi credevamo che fosse questo il momento in cui tu stabilissi il regni di Israele…. . Nonostante tutto, e la morte, e lo scacco della morte e la risurrezione, e l’insistenza con cui Gesù si fa vedere, e i rimproveri per la loro incredulità e, eccetera. Come il fatto religioso ci dice che Dio è estremamente rispettoso della nostra libertà, e si offre veramente agli umili, ai poveri, ai desiderosi di salvezza, Non ad altri. E questi, allora, entrano in una esperienza, in una esperienza di tipo religioso.
Quello che è accaduto per la parola fondante, accade naturalmente per la parola proposta, ai nostri tempi, e noi ci meravigliamo, a volte, dei bei discorsi, delle belle prediche.
Bisogna vedere in che disposizioni siamo noi, in che disposizione sono gli altri. E’ tutto molto misterioso. Al di là di quella che è una esperienza esterna. Qui si tratta di una esperienza eminentemente interiore. Si tratta di una esperienza veramente religiosa, cioè di un vero contatto con Dio. E un vero contatto con Dio non viene attraverso i sensi. Avviene, in qualche modo anche attraverso la percezione dei sensi, – ma in qualche modo – quando c’è la percezione intima del contatto della fede con Dio, e con ciò che Dio opera in noi.
Senza eperienza religiosa non c’è comunicazione religiosa. Guardate, questa non è una affermazione mia. E’ il risultato di una larga constatazione. Senza esperienza religiosa non è comunicazione religiosa.
Noi quest’oggi abbiamo parlato, abbastanza diffusamente, della catechesi, del ministero della Parola, della evangelizzazione. Abbiamo parlato persino dei testi di catechismo. Dove sta la difficoltà? La difficoltà non sta nel contenuto dottrinale, nel contenuto mnemonico, sta proprio in questo settore della esperienza: della esperienza che si deve comunicare agli altri. Comunicare agli altri dei concetti, narrare agli altri dei fatti, fare si che gli altri li ricordino, ecco il catechismo di Pio Decimo, ci vuole poco ma non c’è comunicazione religiosa. C’è notizia religiosa. Comunicazione religiosa ci sarà quando si stabilisce un contatto con il “religioso”. Il “religioso” È ciò che è nel profondo di ogni realtà, in particolare, naturale, delle realtà che noi, per definizione, chiamiamo religiose.
Esperienza religiosa è il frutto dello sforzo di vivere, in profondità, le realtà religiose, è il frutto degli atti con cui si stabilisce un contatto con Dio, negli eventi salvifici del Battesimo, della Cresima, della Eucarestia, della Preghiera.
Questo, poco alla volta, fa esperienza, porta alla esperienza, ma, capite che, è un impegno che ci prende dal di dentro e totalmente, e ci mette ai piedi di Dio – se vogliamo esprimerci così – a contatto con Dio che opera in noi. Perchè la realtà è questa. E’ certo da tutta la rivelazione. Giovanni in particolare.: la mistica di Giovanni. “il Padre è in me”, “io Padre e io sono in voi”, “voi siete nel Padre e io sono nel Padre”.. ecc. “Se qualcheduno mi ama, io e il Padre verremo a lui e stabiliremo la nostra dimora presso di lui”…, “Cristo in noi”; di Paolo. “Nati nello Spirito”,”tempio dello Spirito Santo”, “lo Spirito Santo che rende testimonianza al nostro spirito che siamo figli di Dio”. Tutte realtà di cui abbiamo una certezza, che ci viene dalla rivelazione, però queste realtà fino a che punto impegnano il nostro interiore, il nostro intimo, la parte più decisiva del nostro io e più impegnativa del nostro io, a stabilire un contatto, a mantenere un contatto, a vivere un contatto. A vivere addirittura il pericolo dell’esteriorità e la necessità del raccoglimento sono dei fatti seri per la nostra esistenza, sono dei fatti seri per il valore della nostra esistenza e del nostro ministero, sono dei fatti decisivi per la credibilità del ministero. Qui, la natura delle cose, la natura del fatto religioso cristiano, ci impegna a quella che comunemente chiamiamo la Santità, per rispondere veramente alla nostra vocazione ad essere quello che dobbiamo essere: di Dio, consacrati a Dio, appartenenti a Dio. Non così, con un atto di consacrazione, non così sporadicamente con qualche atto. Varranno anche questi atti sporadici, ma con l’impegno costante, con l’attenzione costante di vivere questo contatto con Dio , con un Dio realmente presente, con un Dio realmente operante, con il Dio nascosto ma che è certamente in ciascheduno di noi, che certamente opera in ciascheduno di noi e con noi e sopra di noi , -lo abbiamo letto in questi giorni- come abbiamo letto in questi giorni . Altrimenti noi recitiamo, facciamo la parte, rappresentiamo con una finzione. Abbiamo detto:”ësi deus est dominus sequimini eo.” Abbiamo parlato di opzione fondamentale. Porta a queste conseguenze.
E, tutti sappiamo che quando noi realizziamo di questi momenti religiosi nella nostra vita, di vero contatto con Dio, di vera esperienza della sua presenza e della sua azione in noi, emaniamo qualche cosa dalla nostra persona, senza dire parole. Sappiamo, che la gente ha un sesto senso in campo religioso, e avverte se lì c’è Dio o non c’è Dio, o se ci sono semplicemente delle parole, delle belle parole, delle pie parole. Allora la gente ci ascolta, la gente ci cerca, la gente ci segue. Però questo questo importa tutta la nostra vita, su questo si gioca tutta la nostra vita. Non è una cosa che si può fare o non si può fare, come l’aggiornamento, come il corso per i fidanzati. Qui andiamo proprio alla radice, andiamo proprio alla base, andiamo al punto di partenza della validità del nostro ministero.
Si potrebbe continuare in questo tono e su queste affermazioni molto lungamente, ma io mi sono scritto questi pochi richiami che mi paiono essenziali per dare davvero, un senso alla nostra vita, un senso al nostro ministero.
Mi richiamo ancora a quello che ho chiamato “un segno dei tempi”: la sete che c’è da parte delle persone in genere, ma dei giovani in specie, di interiorità e di esperienza religiosa. C’è tanta sete di esperienza religiosa per cui si vanno a cercare esperienze religiose anche al di fuori del Cristianesimo. Però, quando le trovano nel Cristianesimo, sono ben felici di trovarle nel Cristianesimo. Pensate quello che avviene in certi movimenti. Nel movimento dei focolarini, per esempio. Bisogna andare adagio. Non tutto è oro quello che luccica, però c’è del buono. E, c’è del buono in questo senso: nel senso della ricerca di Dio, con tutto se stessi, a qualunque prezzo. Questo è vero.
Le varie esperienze pentecostali. Ce ne sono delle vere e autentiche, ce ne sono di quelle discutibili, però ci sono. Sono ormai riconosciute e anche conosciute.
L’esperienza -so che avete anche qui in questa zona dei corsillios-: le cristianità. E’ di questo tipo. Questa gente viene a casa dopo tre giorni che noi chiameremmo di esercizi, trasformata , non più quella di prima. Ci saranno i casi di fanatismo religioso. Ci saranno i casi di tipo patologico,e tutto quello che voi volete, però non tutti i casi sono di questo genere. Perchè molte di queste sono persone normali nella via. Nella vita valgono, nella vita contano. E’ interessante questa vertenza dei corsilisti di contagiare persone che valgono sul piano della vita normale, civile. Sarebbe interessante che questo avvenisse in mezzo ai laici e che noi sacerdoti rimanessimo ai margini, rimanessimo fuori! Questo ci dice che lo Spirito Santo è in azione nella Chiesa e cerca delle persone che siano disponibili al suo invito: “veni”. “Vieni”. Vieni nel deserto e parlerò al tuo cuore. E, sapete cosa avviene quando il Signore ci raggiunge nel raccoglimento e riesce finalmente a parlare al nostro cuore.