Omelia del Vescovo durante la Messa di suffragio per il Papa Giovanni Paolo l
Miei cari sacerdoti, onorevoli autorità, fratelli tutti tanto cari, alla distanza di poco più di un mese, ci troviamo qui a celebrare un’altra messa di suffragio per il Papa che era stato eletto appena 33 giorni fa. La nostra mente è sconvolta, non si dà ragione, il nostro cuore è angosciato, perché sente che abbiamo perduto qualcosa di molto prezioso. Che cosa sta accadendo?
Voi lo sapete, dal momento che venite in chiesa, che non abbiamo il diritto di porre degli interrogativi a Dio, ma abbiamo il dovere di cercare di comprendere i fatti che certamente hanno Dio come protagonista. Se Dio guida la sua Chiesa, se Gesù Cristo è Lui il capo vero della Chiesa, non è pensabile che non ci sia un intervento da parte sua proprio al vertice, in colui che lo rappresenta in mezzo a noi.
E allora perché? Ma non è un perché rivolto a Gesù Cristo, è un perché per noi. Noi viviamo in un momento che si può definire da tanti punti di vista, ma soprattutto come un momento storico senza riferimenti, senza punti di ancoraggio, senza mete di speranza, senza certezze. Dio nel suo servo Papa Giovanni Paolo ha acceso un faro nella chiesa e sul mondo per dirci, così, come in un lampo le cose essenziali verso cui noi dobbiamo dirigere il nostro cuore, la nostra vita, per trovare un ancoraggio sicuro, un riferimento certo. Papa Giovanni Paolo ha avuto il tempo di darci un messaggio proprio adatto alla nostra debolezza, che dimentica subito le cose; per questo ci ha detto poche cose, ma quelle essenziali.
Dio ci ama.
E’ il pensiero su cui è ritornato più volte, su cui ha insistito espressamente ricordando la situazione d’Israele: “Forse che Dio può dimenticarci, forse che Dio può ignorare che ci siamo?” E risponde per mezzo del profeta: “Se anche capitasse che una madre dimentichi il frutto delle sue viscere, io non mi dimenticherò di te, io ti sono vicino, io ti penso, io ti seguo, io stendo le ali della mia protezione onnipotente su di te, per portarti a salvezza”.
Dio ci ama così, ha detto papa Luciani, di un amore “materno”. Noi siamo talmente distratti, dissipati, ma non tanto per colpa nostra, ma perché il mondo è organizzato in un determinato senso, che non ci lascia pensare, che non ci lascia sentire quello che veramente è il bisogno profondo del nostro spirito e della nostra persona. Noi abbiamo bisogno di essere amati. Abbiamo bisogno di sapere con certezza che qualcuno ci ama: qualcuno più grande, più forte, più saggio, più disinteressato, che sia pieno di tenerezza e di comprensione, che sia pieno di amore. Papa Luciani ci ha detto questo nei pochi giorni del suo pontificato.
La folla che si infittiva di giorno in giorno intorno a lui non soltanto nella nostra Italia, in San Pietro o nella sala Nervi, da ogni parte del mondo, ha avuto quel “sesto senso” per percepire dove c’è autenticità, dove ci sono parole vere e si è rivolta verso Papa Giovanni Paolo come verso un punto di riferimento; ma il punto di riferimento non era lui, il punto di riferimento era il suo mandato apostolico, il suo insegnamento, quell’insegnamento che ha impartito con tanta semplicità, col sorriso di chi è sicuro, come un catechista di parrocchia, il grande catechista del mondo, che dice, che afferma con tutta l’autenticità della sua persona, che Dio ci ama.
E perciò ecco un altro punto: noi dobbiamo aprire il cuore all’amore, dobbiamo amare Dio. Direte: ma che cosa c’entra amare Dio con tutti i problemi che ci sono nel mondo: il problema della giustizia, il problema della guerra, il problema della violenza? Il Papa defunto portava questo confronto che aveva imparato dal suo professore di filosofia: se tu conosci il campanile di San Marco ne porti con te l’immagine intellettuale, ma il campanile rimane dove è; mentre se tu lo ami, lo attiri in te stesso. Noi abbiamo bisogno di amare Dio per attirare nel nostro essere, nella nostra persona, nel nostro cuore, nel nostro linguaggio, nei nostri gesti, nei nostri sentimenti l’amore stesso di Dio, per diventare capaci di voler bene come Dio vuole bene.
Vi pare poco aver detto a tutto il mondo: “Amate Dio” per attirare l’amore di Dio nei vostri cuori, per diventare capaci di voler bene come Dio vuole bene? Non di fare giustizia, non di fare proteste, non di rivendicare diritti, non di uccidere, non di usare violenza, non di fare la guerra, ma di essere fra coloro che per amore di Dio amano i propri fratelli, anche il fratello – diceva il papa Giovanni Paolo – che ti ha offeso, anche il fratello che non ti è simpatico, anche il fratello che ti ha fatto un torto. E se non arriviamo a questo punto di amarci così come ci ha insegnato nostro Signore Gesù Cristo che dall’alto della croce ha pregato per i suoi crocifissori, noi non siamo a un livello di vera umanità e tanto meno siamo ad un livello cristiano. Perché occhio per occhio e dente per dente è legge di giungla, non è legge di umanità, non è legge cristiana.
E perdonare: più nessuno vuole perdonare. Nell’ultima udienza di mercoledì, papa Luciani ha recitato l’atto di carità, imparato dalla mamma e che da papa ripeteva più volte al giorno, dove si protesta il vero amore di Dio: “perdono ai miei nemici”. Il perdono! Se non risuona nel nostro cuore il sentimento del perdono, che razza di uomini pretendiamo di essere?
Un’altra cosa e poi finisco: ci ha detto che nell’amore, come nella fede e nella speranza, dobbiamo “camminare” tutti i giorni con quel semplicissimo paragone: “Una volta si viveva sulle palafitte e poi nelle capanne e poi nelle case e poi nei palazzi; una volta si andava a piedi, e poi a dorso di mulo o di cammello e poi in carrozza, in treno, ora si vola”. Bisogna camminare, bisogna progredire, anche negli altri campi, ma soprattutto nel campo dell’essere uomini, soprattutto nel campo dell’essere delle donne, nel campo della capacità di voler bene, crescere e camminare nell’amore.
Miei cari, io non vi dico che se tutti i giorni non compiamo un atto di amore, quel giorno non è stato vissuto da uomini o da donne; io vi dico, proponendo il messaggio di papa Giovanni Paolo, che se ogni giorno non cresciamo nella qualità dell’amore, noi viviamo invano i nostri giorni e lo sapete che i giorni sono pochi, che i giorni sono preziosi, che non li dobbiamo sprecare; quindi dobbiamo crescere, dobbiamo camminare nell’amore.
Chi ci ha detto queste cose? Ce le ha dette colui che ha predicato nel mondo 33 giorni con l’amabilità del Salvatore nostro Gesù Cristo: come lui è stato semplice e umile. Ce le ha dette uno che non parlava con l’intelligenza, con la sapienza o con la cultura, ma ha parlato col cuore, quel cuore che ha parlato così intensamente e si è messo talmente in sintonia con le vibrazioni del cuore di Gesù Cristo che non ha resistito alla carica di questo impeto di amore.
Ecco chi ci ha dette queste cose: ma ce le ha dette con tanta umiltà, fino a rivolgersi a tutti, fino al bambino che ha chiamato a sè vicino alla cattedra; lo ha invitato ad “aiutare il papa”. Che atteggiamento! Tutti abbiamo le nostre presunzioni. Tutti pretendiamo di fare da soli, di saperla noi, di dire l’ultima parola. Lui no. E l’ultima parola non l’ha detta. Ha detto le parole che doveva dire, quelle di Dio. Oh questo noi dobbiamo cogliere, questo fatto che tocca così neI vivo la vita della chiesa e la vita dell’umanità.
Non posso terminare senza ricordare ciò che egli richiamava spesso ed era l’insegnamento di uno che ha parlato da qui, San Pio X: “Guardate che per rendere il mondo più umano, ognuno di noi deve diventare più buono“. Miei cari aiutiamoci con la preghiera, con l’esempio, con il sostegno vicendevole a diventare ogni giorno gente dal cuore più buono.
ST 323 Luciani 78
Omelia del Vescovo durante la Messa di suffragio per il Papa Giovanni Paolo I°-domenica 1 ottobre 1978
Stampa Rivista diocesana , n 9-12 -1978 pag. 500