«L’offesa maggiore è l’incomprensione»
«Vorrei che i mantovani e io
fossimo più vicini»
Anche se non lo hai mai visto immagini subito che sia il vescovo. Eppure veste come un prete qualsiasi: I’unico oggetto prezioso che si porta addosso è un anello d’oro di fattura antica, che quasi non si nota. E che lui si rifiuta di farsi baciare .
Monsignor Carlo Ferrari, 71 anni, vescovo di Mantova dal 1967, ha l’aspetto solenne e distaccata di un antico patrizio.
«Eppure sono figlio di contadini», mi dice sorridendo quando glielo faccio notare. E durante tutto il nostro colloquio, che si prolungherà per oltre un’ora e mezza, Ia figura del patrizio sfuma per lasciare il posto a quella di un sacerdote di grande umanità e bontà. Anche se monsignore un certo temperamento ce l’ha. E tutt’altro che debole».
Monsignore se apriamo il libro della sua vita cosa vediamo all’inizio?
«Una famiglia di contadini, mio padre, mia madre, io e mio fratello minore. I miei genitori avevano in affitto un podere, ne grande ne piccolo, a Fresonara, un paesino di 1000 abitanti, in provincia di Alessandria. E’ qui che sono nato e ho frequentato le scuole elementari. Poi sono entrato in seminario».
La sua è stata dunque una vocazione precocissima?
«Non esattamente. A parte la mia educazione cattolica (i miei erano molto religiosi), sono stato influenzato da alcuni amici, più vecchi di me di qualche anno, che erano già in seminario. Così, con il consenso, anzi, I’ incoraggiamento di mio padre e mia madre, ho imboccato la strada decisiva della mia vita».
La chiamata di Dio quando e arrivata?
«Alla fine del ginnasio. E’ stato allora che ho deciso, con consapevolezza di dedicare la mia esistenza al servizio di Dio e del mio prossimo. E questa idea, maturata lentamente dentro di me, non è più cambiata. Non ho mai avuto crisi di dubbio o tentennamenti. Dio mi ha concesso subito la certezza della fede».
Allora lei, da ragazzo, non è mai stato innamorato?
«Innamorato nel vero senso della parola no. Però le belle ragazze le notavo anch’io. Quand’ero a casa d’estate, per le vacanze si usciva spesso in compagnia di amici e anche di amiche. E a proposito di vacanze devo dirle che, fino a quando sono stato ordinato sacerdote, le ho sempre trascorse lavorando. Dovevo aiutare i miei genitori nei campi: zappare, falciare, portare le mucche al pascolo. E’ una fatica dura quella del contadino. E io posso dire di conoscerla veramente bene».
Quando è stato ordinato sacerdote?
«Il 29 giugno del 1935 da monsignor Egisto Melchiori, vescovo di Tortona. E’ stato sicuramente il giorno più bello della mia vita. Alla cerimonia c’erano mio padre e mia madre. Piangevano tutti e due per la commozione. Poi siamo andati a casa dove abbiamo fatto una grande festa».
Come si è svolta la sua carriera ecclesiastica?
«Dopo l’ordinazione ho trascorso un anno nel cosiddetto “convitto ecclesiastico” dove, in pratica, si faceva il tirocinio per diventare dei bravi preti. Un po’ come fanno i medici che dopo la laurea passano un periodo in ospedale. Per tre giorni la settimana andavamo in alcune parrocchie, mentre nei rimanenti discutevamo i problemi del nostro ministero. Terminato questo”apprendistato” mi hanno nominato vice-parroco ad Arquata Scrivia e, contemporaneamente insegnavo belle lettere al seminario di Stazzano. Ho tenuto questi incarichi per due anni poi sono stato nominato direttore spirituale del seminario minore e, verso la fine del 1945, sono diventato direttore spirituale del seminario maggiore. E lo sono rimasto fino alla mia nomina a vescovo».
Cosa fa un direttore spirituale?
«Si prende cura dei giovani per seguirne lo sviluppo della fede. E’ un po’ il medico delle anime».
Non ha mai sentito la nostalgia per la vita di parroco?
«No, perché oltre a occuparmi dei seminaristi andavo in giro per le parrocchie, presso i giovani degli oratori e delle organizzazioni cattoliche. Insomma, io sono sempre rimasto in mezzo alla gente. Ed era anche la cosa che mi piaceva di più».
Nella sua veste di direttore spirituale non le è mai capitato di dover consigliare un giovane a non fare il prete?
«Certo. Faceva parte dei miei doveri» .
Quando è stato nominato vescovo?
«Nel 1952. La nomina, fatta da Papa Pio Xll, mi arrivò improvvisa e inaspettata (come lo è sempre in questi casi). Io, da principio, credevo che fossi stato nominato vescovo ausiliare di qualche diocesi che non esiste più, che ha solo un significato onorifico. Di solito si tratta di diocesi di paesi del medio Oriente. E anche il nome di questa città, che finiva in “poli” e di cui, lo confesso, ignoravo l’esigenza, aveva rafforzato questa convinzione».
«Invece la diocesi di Monopoli, una cittadina in provincia di Bari, esisteva eccome. Ci sono rimasto per 15 anni ed è stata un’esperienza meravigliosa, in mezzo a gente che mi ha voluto e mi vuole ancora molto bene. Pensi che, ancor oggi, a Pasqua e Natale, ricevo più cartoline di auguri da Monopoli che da Mantova. Anche se la mia attuale diocesi è più del doppio di quell’altra. Ma è questione di temperamento della gente».
Perché è stato nominato vescovo?
«Confesso di non saperlo proprio. Ma non bisogna neppure fare dei castelli in aria. A volte si tratta di motivi del tutto accidentali».
Anche la sua «promozione alla diocesi più importante di Mantova?
«La risposta è identica a prima».
Come ha accolto queste nomine?
«Più con preoccupazione per le responsabilità a cui andavo incontro che con la gioia legittima per questi incarichi così importanti».
Qui a Mantova quanti sacerdoti dipendono da lei?
«Trecentoventi, e purtroppo, anche se non ho statistiche alla mano, sono generalmente degli anziani. Credo che la media dell’età sia più verso i 60 che i 50 anni».
Colpa della crisi delle vocazioni?
«Una diminuzione delle vocazioni sacerdotali c’è indubbiamente. Però noi parlerei di crisi. Nei nostri seminari continuano a entrare sempre meno giovani, ma, comunque sono in numero sufficiente per le nostre esigenze. E si tratta non più di bambini che hanno terminato le elementari, ma di ragazzi che hanno superato l’ultimo anno delle scuole medie superiori. Ad esempio. proprio pochi giorni fa, ho incontrato 5 giovani mantovani che hanno terminato il liceo e adesso intendono entrare in seminario».
Essere preti oggi è più difficile dl qualche anno fa?
«Direi che è più impegnativo. Perché le difficoltà nella nostra missione, ci sono sempre state. Ai giorni attuali ad esse si aggiungono tutte le problematiche di una società moderna nella quale si è diffuso il fenomeno della secolarizzazione. Cioè l’aspetto materiale della vita ha messo in ombra quello religioso».
Monsignore lei con i suoi sacerdoti è un superiore autoritario?
«Non posso essere così perché, quando parlo con una persona, prete o laica che sia, assumo l’atteggiamento di chi deve ascoltare i problemi degli altri e dare loro una mano per risolverli».
Non ha mai perso la pazienza?
«Rarissime volte. E con grande dispiacere perché il mio motto di vescovo è “Patientia opus perfectum” (la perfezione sta nella pazienza)» .
E’ più difficile essere vescovo o semplice sacerdote?
«Sicuramente fare il prete perché si è più a contatto diretto con la gente e i suoi problemi. Il vescovo lo è meno anche se pure lui ha delle pesanti responsabilità».
Ha più amici tra i preti o fra i laici?
«Tra i preti. Ma non per una mia scelta. Me lo ha imposto la mia stessa vita».
Cosa apprezza di più in un fedele?
«La lealtà e la coerenza».
E in una persona che non crede?
«L’onestà».
Uno che non crede, ma si comporta bene per tutta la vita, quando muore salva la sua anima?
«Se vive rispettando i dettami della coscienza e non è mai stato negligente nella ricerca della verità, la mia risposta è si. La sua anima è salva certamente».
Tra una persona che viene in chiesa per conformismo e un ateo onesto, lei chi preferisce?
«Quello che onestamente segue la sua coscienza».
Nella sua diocesi ci sono molti matrimoni civili?
«Pochissimi. Ancor meno i funerali civili. Ce n’erano di più in passato. Quasi inesistente il fenomeno di chi non fa battezzare i figli».
Sono risultati positivi, ma non sarà forse dovuto al conformismo?
“Spero proprio di no».
Monsignore che rapporti ha con i partiti politici e in special modo con il PCI?
«Sono quasi assenti. Con il Partito Comunista non ho mai avuto a che fare. Con molti comunisti si e devo dire che mi sono umanamente trovato bene».
E’ vero che un iscritto al PCI è scomunicato?
«No. Lo è solo il comunista che milita in favore dell’ateismo contenuto nell’ ideologia del PCI. Per tutti gli altri la scomunica non esiste».
Qual è il peccato che fanno dl più I mantovani?
«Qui da noi la gente sta troppo ben, non sa come spendere i soldi. E perde di vista il fine spirituale della vita a favore del consumismo. Però più che un peccato lo definirei un grave pericolo per le nostre anime».
E lei ha qualche peccato da rimproverarsi?
«Quello di non essere sistematico nel disbrigo delle mie mansioni. Mi piace essere puntuale, preciso e preparato, ma, a volte, trascuro con facilità le cose piccole. E anche le regole della convivenza perché non sono un formalista».
I mantovani secondo lei amano il loro prossimo per davvero?
«Non ho un contatto così diretto con la popolazione da poter dare una risposta certa alla sua domanda. Posso però dirle che i mantovani sono degli amiconi, gente cordiale. E nei momenti di difficoltà, come nel recente terremoto che ha devastato il Sud, rispondono con molta generosità».
La famiglia mantovana è In crisi come nel resto dell’Italia?
«Direi di no. Anzi è abbastanza solida. Perché, anche se la nostra provincia è sufficientemente industrializzata come tenore di vita è rimasta di tipo rurale. Per fortuna».
Nella sua diocesi va in chiesa molta gente?
«La popolazione per il 20-30 per cento è cattolica praticante. Alcuni miei sacerdoti mi hanno detto che c’è la tendenza della gente a ritornare alle pratiche religiose».
Lei cosa pensa dei divorzio, dell’aborto e della pillola anticoncezionale?
«La mia posizione e quella della Chiesa. E lo sarà sempre».
Monsignore lei è favorevole all’idea che un giorno i preti possano sposarsi?s
«Per convinzione personale, dovuta alla mia lunga esperienza, e per essere fedele alla Chiesa, io sono per il celibato ecclesiastico».
Come considera i soldi?
«Mi pare di considerarli in modo abbastanza distaccato. Non li vedo e non li cerco».
Il potere l’attira?
«Non ci penso nemmeno».
Lei è ambizioso?
«Può darsi».
Cosa vuol dire? Che le piacerebbe diventare cardinale o magari Papa?
«No. Ma fare il vescovo bene si».
Qual’è l’offesa peggiore?
«L incomprensione».
Se uno la offende lei, come dice Gesù, è pronto a porgere l’altra guancia?
«Crederei di sì».
Qual’è stato il più grande dolore della sua vita?
«Quando e morto il mio unico fratello. Aveva un reumatismo cardiaco e se n’è andato a soli 18 anni. E’ una ferita che non mi si è più rimarginata».
Lei ha timore della morte?
«No. Mi ci preparo naturalmente» .
La malattia la spaventa?
«Neppure. Anche se, per mia fortuna, non ne ho mai fatto una vera esperienza».
Secondo lei Gesù preferisce i poveri o i ricchi?
«Gesù non ha preferenze. Perché ci sono dei ricchi estremamente poveri e dei poveri, purtroppo, orgogliosamente ricchi. Una cosa è certa: Gesù è sempre dalla parte dei più deboli».
Monsignore c’è un peccato che le fa particolarmente orrore?
«Da un punto di vista soggettivo, la lussuria. Da un punto di vista sociale, la grettezza».
Lei crede nell’inferno e quindi nel diavolo. Come si manifesta il demonio?
«In tutti quei fenomeni sociali di disgregazione della vita morale. Come, ad esempio, la violenza, che ha invaso non solo l’Italia, ma anche il mondo. Il demonio poi si annida nei grandi centri di potere che, a mio avviso, sono piuttosto quelli economici che quelli politici. Basti pensare al potere delle grandi imprese multinazionali».
Come si può sconfiggere il demonio?
«Con le medicine indicate da Gesù: la penitenza e la preghiera. Nell’ambiente sociale lo si scaccia con l’austerità e il ritorno a Dio».
Monsignore com’è una sua giornata tipo?
«Mi alzo abbastanza presto. Faccio meditazione e dico le preghiere. Poi ricevo le persone e sbrigo le pratiche del mio incarico. Nel pomeriggio dico la messa. Vado spesso nelle parrocchie per incontri di tipo catechistico con i fedeli, oltre che per impartire le Cresime. Mi corico presto: tra le 22 e le 23».
Nel suo tempo libero cosa fa?
«Leggo dei libri, sfoglio i giornali e guardo la televisione. Soprattutto quando ci sono delle opere liriche. Mi piacciono anche i documentari scientifici e seguo le tribune politiche. Ma queste ultime le considero un mio dovere, per sapere in che mondo vivo. Poi raccolgo francobolli e monete: ma sono un passatempo».
«I miei hobbies preferiti sono i viaggi e la fotografia. Sono stato tre volte in medio ed estremo Oriente. Ho visitato l’India le Filippine, l’Australia, l’lndocina, Israele, la Grecia, la Turchia. Ad esempio, conosco la città di Istanbul e dintorni come quelli di Roma. E in tutti i miei viaggi ho sempre scattato tantissime fotografie. Perché un altro mio hobby è proprio la foto: di paesaggi e monumenti. Per ogni Paese dove sono stato ho preparato degli interi album».
Le piace anche lo sport?
«Mi attribuiscono il pallino di avere una guida veloce. Però non sono uno spericolato. Ho un «Alfetta 2000» che mi piace guidare senza bisogno dell’autista. Cosi posso permettermi qualche corsa. Ma sempre con prudenza».
Se lei non avesse fatto il sacerdote cosa sarebbe diventato?
«Senza dubbio un buon agricoltore».
A 75 anni presenterà, come ha disposto il Papa, le dimissioni da vescovo?
«Certamente. E senza sentirmi per questo messo da parte».
Adesso cosa desidera di più?
«Di essere in comunione più dinamica con i preti e con i laici».
Se le chiedessi di esprimere un augurio per se e per i mantovani.
«Quando sono entrato nella diocesi di Mantova ho scritto a tutti i mantovani chiedendo di darmi almeno lo spazio di un anno per conoscerli. Di anni ne sono passati parecchi e adesso vorrei che da parte mia e loro ci fosse uno sforzo più esplicito per comprenderci sempre di più. Vorrei che nei nostri rapporti io non fossi sempre e soltanto il’ “vescovo”, cioè l’autorità che è ospite del Palazzo Bianchi. Devono considerarmi una persona umana che desidera solo di stare loro vicino. In ogni momento e il più possibile» .
Quale preghiera recita più volentieri?
«Quella liturgica. cioè la Messa e il breviario. Fra le altre ce ne sono tre che io considero fondamentali: il “Padre nostro” l’ “Ave Maria” e il “Gloria Patri”».
Se dovesse fare un bilancio della sua vita quale sarebbe?
«Dal punto di vista della fede, nonostante le molte lacune, lo reputo positivo».
Per che cosa vorrebbe essere ricordato?
«Per la mia bontà».
UMBERTO MARCHESINI
“La Gazzetta di Mantova” 19-4-1981
Nostra intervista col Vescovo della Diocesi Monsignor Carlo Ferrari