14 Dicembre 1982 uno dei tanti incontri con i sacerdoti
La celebrazione della Parola, di per sé non riguarda solo la Messa ma l’amministrazione di tutti sacramenti che dovrebbero sempre avvenire nel contesto della celebrazione della Parola cui dovrebbe seguire l’omelia e la celebrazione sacramentale. Parola e sacramento si completano a vicenda e portano avanti la caratteristica della Rivelazione della salvezza fatta di parola e di avvenimenti: la parola illumina, l’avvenimento realizza ciò che la parola annunzia e nello stesso tempo l’avvenimento è un annunzio più pieno di quello che la parola ha già indicato.
Dare il senso della predicazione liturgica o dell’omelia non è facile, perché possediamo dei concetti che stanno prima di questa realtà, che nascono da una certa nostra esperienza, cultura e catechesi e per questo abbiamo considerato la predicazione, nella Messa e durante la celebrazione degli altri sacramenti, come un fatto a se stante. Cerchiamo di dire che cosa si intende per omelia o predicazione liturgica.
Il concilio è esplicito. Nel suo primo documento, il documento della Liturgia che ha aperto tutti gli altri, si legge che l’omelia fa parte dell’azione liturgica. L’omelia è azione liturgica. L’azione liturgica a sua volta che cos’è? Mi rifaccio alla celebrazione della Messa che è la più grande delle azioni liturgiche e, che é la celebrazione per eccellenza. L’introduzione al nuovo messale porta scritto, che la Messa è l’azione di Cristo e del Popolo di Dio gerarchicamente ordinato per celebrare il memoriale del Signore: la passione, morte, risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo.
L’omelia è azione liturgica. L’azione liturgica è azione di Cristo e del popolo di Dio gerarchicamente ordinato.Anzitutto è azione di Cristo. Tutto ciò che si fa, nelle nostre chiese in mezzo alle nostre comunità, dal momento che siamo più di due riuniti nel nome di nostro Signore Gesù Cristo , è sempre fatto da nostro Signore Gesù Cristo, perché Gesù Cristo è presente. – Non è presente come uno spettatore, – non è presente come un maestro che guarda se le azioni sono fatte bene, – è presente – se si parla- come se parlasse lui, – è presente -se si agisce- come se agisse lui. E’ lui che battezza,è lui che trasforma il pane e il vino nel corpo e sangue come ha fatto nell’ultima cena. L’omelia, quindi, è anzitutto azione di nostro Signore Gesù Cristo.
Noi facevamo grandi gesti di adorazione quando alla elevazione suonava il campanello, perché in quel momento c’era la presenza reale di nostro Signore Gesù Cristo. Se noi dovessimo suonare il campanello per una presenza vera di nostro Signore Gesù Cristo durante le azioni liturgiche, dovremmo suonarlo incessantemente, perché incessantemente Egli è presente ed operante. E’ presente, è operante, fa ciò che fa la sua chiesa! Anzi, è lui che associa la sua sposa che è la Chiesa. La Chiesa non è qualche cosa di astratto e di trascendentale. Siamo noi la Chiesa che Gesù Cristo vuole.
Il primo presente, il primo che ci convoca, il primo che ci riunisce, il primo che ci sostiene è sempre nostro Signore Gesù Cristo. Non è da sottovalutare, per esempio, l’esposizione del Santissimo Sacramento per l’adorazione che ha sempre avuto ed ha ancora il suo significato. Questa ostensione, questa esposizione di nostro Signore Gesù Cristo sotto la specie del pane è qualche cosa di vero che ci garantisce la presenza di nostro Signore Gesù Cristo, ma dobbiamo tenere presente, che dove c’è una celebrazione liturgica legittima c’è nostro Signore Gesù Cristo, lo stesso Gesù Cristo che è nel santissimo sacramento. I modi non ci devono interessare.
Ci deve interessare la persona di Gesù Cristo. Ci deve interessare chi è Gesù Cristo per noi, che cosa fa Gesù Cristo per noi, che cosa vuole essere Gesù Cristo per noi, perciò la predicazione liturgica, la omelia ci deve portare – prima di tutto alla scoperta di nostro Signore Gesù Cristo, – prima di tutto alla considerazione di quello che compie nostro Signore Gesù Cristo, – prima di tutto all’incontro con nostro Signore Gesù Cristo. Ne derivano conseguenze magnifiche.
Questa Parola di Dio, celebrata così poveramente da noi, letta così in fretta dai nostri ragazzi, strapazzata dai sacrestani e qualche volta farfugliata da noi sacerdoti, è Parola di Dio, è la Parola con cui Gesù Cristo è diventato il principio della creazione “per mezzo di lui tutte le cose sono state fatte” e “tutto in lui sussiste”. ì Quella Parola che ha detto al cieco “vedi”,… al sordo” odi”,… allo zoppo “cammina”,… “Ti sono rimessi i peccati”… è ancora viva in mezzo a noi ed ha la stessa efficacia, l’identica forza e vive dinanzi a noi nelle nostre celebrazioni. Anche se le nostre celebrazioni sono povere, tuttavia garantiscono la presenza di nostro Signore Gesù Cristo e l’efficacia della sua parola in mezzo a noi. Questa è la cosa stupenda e meravigliosa di cui noi dobbiamo essere convinti, alla quale dobbiamo accostarci con fede per raccogliere i frutti. La parola di Dio è lasciata nel mondo ed offerta per la salvezza degli uomini.
Prima di vedere quale è la missione del prete dobbiamo pensare a questa presenza ed alla potenza della parola di nostro Signore Gesù Cristo. Questo deve stare davanti all’attenzione della nostra fede. Noi, celebrando, facciamo qualche cosa in cui è impegnato Dio e in cui siamo impegnati noi, in cui si gioca la nostra salvezza e la salvezza del mondo, quindi la celebrazione della Parola è qualche cosa di grande, di valido, più grande e più valido di quanto non facciano i più grandi uomini della terra, perché nel momento in cui noi stiamo celebrando la Parola c’è la presenza e l’azione di nostro Signore Gesù Cristo. Detto questo, mettiamo in evidenza che la celebrazione liturgica della Parola è anche azione del popolo di Dio.
Ma, la predica non spetta al prete? State tranquilli che il vescovo rivendica questo compito che è suo e dei suoi sacerdoti, ma voglio evidenziare come in tanto ci sta il compito del vescovo e dei sacerdoti che rendono presente il vescovo e ne fanno le veci, in quanto c’è una comunità che agisce insieme a nostro Signore Gesù Cristo, che costituisce la santa madre Chiesa. La comunità non sono tutti quelli che sono materialmente presenti nella chiesa. La comunità sono quelli che guardano nostro Signore Gesù Cristo con fede, quelli che riferiscono la loro vita a nostro Signore Gesù Cristo, quelli che stanno intorno all’altare perché cercano nostro Signore Gesù Cristo e attendono e vogliono nostro Signore Gesù Cristo prima e al di sopra di ogni altra persona e di ogni altra cosa. Gli altri assistono, gli altri soddisferanno anche al precetto della chiesa, ma non compiono una vera celebrazione liturgica.
Se non ci fossero persone totalmente e incondizionatamente orientate a nostro Signore Gesù Cristo, ci sarebbe una celebrazione eucaristica dal punto di vista giuridico, ma molto povera da un punto di vista teologale e quindi della salvezza. Se Gesù Cristo non incontra la sua Chiesa, la sua Sposa in questi momenti forti della celebrazione liturgica, la salvezza nel cammino della storia degli uomini non va avanti, non opera per gli uomini, non opera per la storia. Ne bastano pochi. Basta un pugno di gente, un resto, un piccolo gregge, un piccolo seme che Gesù Cristo feconderà e renderà fruttuoso per tutta la umanità, anche senza che questa se ne accorga.
Abbiamo, noi sacerdoti, la coscienza che la celebrazione comporta questa presenza attiva di una vita impegnata nel senso della fede, della adesione e della comunione a nostro Signore Gesù Cristo, che è poi il frutto della salvezza?
Questa sera nel vespro abbiamo letto: fedele è Dio che ci garantisce la comunione, cioè, una unione vitale con nostro Signore Gesù Cristo. C’è questa comunione durante le nostre celebrazioni? C’è questa comunione durante la celebrazione della Parola? C’è questa comunione durante la predica che si tiene alla Messa, al funerale, al mtrimonio, al Battesimo?
Se c’è questa comunione è garantita l’azione di nostro Signore Gesù Cristo; se non c’è dobbiamo pensare che a nostro Signore Gesù Cristo mancherà l’appoggio da cui partire per svolgere la sua missione, perché nel mondo ci sia la continuazione della sua opera di salvezza per tutti gli uomini. Questo è un dato fondamentale per la celebrazione della Parola, per le nostre omelie. O nelle nostre celebrazioni ci sono questi nuclei, questi gruppi fedeli, questi piccoli greggi, questi resti di Israele su cui fa presa la presenza e l’azione di nostro Signore Gesù Cristo, perché sono delle aperture di fede, di speranza, di amore verso Gesù Cristo, che ama il mondo e quindi sono aperture verso i propri fratelli, oppure ci vuol altro che il prete faccia una bella predica, ci vuol altro che il prete tenga una bella omelia ricca di contenuti con un linguaggio adatto “molto incarnato nella situazione”!
L’incarnazione nella situazione deve essere costituita da persone vive che stanno intorno al sacerdote. Azione di Cristo e del popolo di Dio gerarchicamente ordinato! Ognuno compie la sua parte. C’è la parte del vescovo e dei sacerdoti che garantiscono l’autenticità della parola di Dio, perché sono i maestri della Parola di Dio e presiedono la comunità. C’è il piccolo gregge, il “resto che si raccoglie intorno a nostro Signore Gesù Cristo, con una presenza sacramentale visibile e tangibile e quindi ha un compito eminente, ma questo compito eminente viene vanificato se non c’è chi aduna nel nome di nostro Signore Gesù Cristo.
La presenza determinate di una omelia, della celebrazione della Parola del Signore, è la comunità – preti e laici – di coloro che nella fede fanno riferimento a nostro Signore Gesù Cristo con la propria persona, con la propria vita in un modo incondizionato e totale.
Questo è il senso della celebrazione della Parola. Questo è il senso della omelia.
OM 684 sacerdoti 82
14 Dicembre 1982