Ritengo opportuno fare una parentesi nella mia esposizione per togliere l’impressione di una certa insistenza, perlomeno singolare. Inoltre, proprio esaminando il documento principale del Concilio, avranno una maggiore credibilità le mie affermazioni.
La costituzione Lumen Gentium, rispetto al passato è un capovolgimento. Esisteva il pericolo di identificare la Chiesa con il Papa o addirittura con la Santa Sede, lasciando in ombra il mistero e il fondamento dei carismi della gerarchia della chiesa. La costituzione ha avuto un inizio travagliato per lo scontro di due mentalità opposte; ma quando i lavori del Concilio sono stati avocati pienamente, col consenso del santo Padre, ai padri conciliari, i lavori presero un altro andamento. L’impostazione del tema ebbe il suo capovolgimento: al primo posto il mistero, al centro il popolo di Dio e al terzo posto la gerarchia.
Finalmente ebbe termine quello che era chiamato “l’esilio della Trinità”.
Il primo capitolo della Lumen Géntium è stato dedicato al mistero trinitario. Non era concepibile che un’opera riguardante la salvezza non avesse come iniziatori e protagonisti le Divine Persone: è Dio che ha concepito da tutta l’eternità e ha operato nel tempo la salvezza dell’uomo e dell’universo; è Dio proteso con il suo amore infinito verso l’uomo.
E’ logico, quindi, che l’opera del Padre del Figlio e dello Spirito Santo costituisca il fondamento del principale strumento della salvezza, che è la chiesa: il Padre concepisce il disegno salvifico universale; il Figlio esegue il disegno del Padre; lo Spirito Santo porta a compirnento l’opera del Padre e del Figlio, ed è – in qualche modo – l’anima della chiesa. Le immagini bibliche completano la descrizione della piú grande delle istituzioni, al punto che la chiesa universale si presenta come « un popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo ».
Come ho già affermato, al centro del disegno dell’opera salvifica delle Divine Persone, sta l’uomo; quindi, è parimenti logico che al centro della costituzione ci sia il capitolo su “Il Popolo di Dio”.
Il popolo di Dio ha una lunga storia e delle vicende alterne che occupano tutto l’Antico Testamento; con questo popolo Dio ha stretto la sua alleanza che diventerà definitiva, completa e traboccante con il Nuovo Testamento e avrà la sua continuità nel mistero e nella costituzione della chiesa.
« Questo popolo messianico ha per capo Cristo – che è stato dato a morte per i nostri peccati, ed è risuscitato per la nostra giustificazione – e che ora, dopo essersi acquistato un nome che è al di sopra di ogni altro nome, regna glorioso in cielo. Questo popolo ha per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo Spirito Santo, come nel suo tempio. Ha per legge il nuovo precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati. E, finalmente,ha per fine il Regno di Dio, incominciato in terra dallo stesso Dio, e che deve essere ulteriormente dilatato, finché alla fine dei secoli sia da lui portato a compimento, quando comparirà Cristo, vita nostra e, anche le stesse creature saranno liberate dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla gloriosa libertà dei figli di Dio » (LG n. 9).
Il popolo di Dio è costituito da membri dotati della dignità e della libertà dei figli di Dio. Nell’ordine della salvezza non esiste una dignità piú grande: tutto è inferiore. Il Papa, i Cardinali, i Vescovi sono nell’ambito della salvezza in quanto figli di Dio, non possono avere una dignità piú alta.
Le vicende storiche hanno indotto nella chiesa un costume e delle istituzioni che, solo attraverso i secoli, si attenueranno. Il Papa, i Vescovi, i Presbiteri e i Diaconi sono tutti a un medesimo titolo membri dell’unico popolo di Dio.
Il Concilio, al terzo posto, ha trattato della gerarchia. Non bisogna confondere i poteri sacri con la dignità; questa è nell’ordine del fine, quelli sono nell’ordine degli strumenti. Perciò era logico che la gerarchia fosse definita come servizio. Lo stesso Figlio di Dio, che sta al di sopra di ogni dignità, perché Figlio unigenito del Padre, si è fatto servo per salvare i dispersi figli di Dio e dichiara apertamente di non essere venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita per i fratelli (cfr Mt 20, 28).
I membri del popolo di Dio per mantenersi, crescere e maturare nella loro dignità e libertà, hanno bisogno dei dono della Parola, della Grazia e della Carità. Per questo alcuni di loro sono scelti e chiamati appunto per esercitare nella chiesa il ministero della Parola, della Grazia e della Carità. Questi ministeri ricevono la loro efficacia non dagli uomini, ma da Dio, attraverso l’azione dello Spirito Santo. Al primo posto ci sono i Vescovi, successori degli apostoli, insieme al Papa che succede a Pietro. Il Concilio afferma che uno è Vescovo per la consacrazione sacramentale e la comunione con tutti i Vescovi, ai quali presiede il Sommo Pontefice.
Purtroppo questa seconda condizione, di sua natura costitutiva, è scarsamente attesa; e ognuno fa il Vescovo come se la pienezza e l’efficacia dei suoi poteri dipendessero unicamente dalla consacrazione. Gesú ha istituito i “dodici”, come corpo apostolico, a cui ha dato Pietro come capo. La piú ricca definizione del Papa è quella di “presidente della carità”, ma questa presidenza nella chiesa è tanto piú ricca nella misura in cui è stretta la comunione dei Vescovi tra di loro. Naturalmente sono sempre da riconoscere le prerogative del successore di Pietro: il suo primato su tutta la Chiesa e la sua infallibilità. Anche qui c’è ancora molto cammino prima di trovare la via per attuare la pienezza di vita della chiesa. Per mia esperienza e convinzione, non sono le piccole diocesi che costituiscono problema, ma le grandi, proprio in vista di una comunione piú concreta.
Concludo questa parentesi con un rilievo sul ministero dei Vescovi che è proprio della Lumen Gentium. Descrivendo il triplice ministero dei Vescovi, il Concilio conferma: « Tra le funzioni principali dei Vescovi eccelle la predicazione del Vangelo » (LG n. 25). Esiste una affinità e un rapporto del tutto singolare tra il dono dello Spirito Santo che abilita alla predicazione della parola di Dio. Nella chiesa non c’è nessuno che possieda una costituzione personale così legata alla divina Rivelazione. I santi possono avere anche delle intuizioni particolari sui divini misteri, ma sono delle grazie episodiche. I Vescovi sono costituiti nella chiesa per essere introdotti nella pienezza di tutta la verità: a loro è affidata la grazia permanente di penetrare il senso della Parola di Dio in ordine alla salvezza dei fratelli. Perciò i Vescovi non possono accontentarsi delle pratiche di pietà di un buon ecclesiastico, ma devono essere, senza restrizioni, dei veri contemplativi. Devono trovare il tempo migliore e il piú disteso per stare sotto l’influsso dell’azione dello Spirito Santo, che apre il loro spirito e il loro cuore alla ricchezza della parola di Dio. Devono mantenersi in un atteggiamento attento e disponibile.
Da, una parte sta il fatto inaudito di Dio che rivela se stesso agli uomini; dall’altra c’è la persona umana, a cui è rivolta la parola di Dio carica di salvezza; in mezzo il ministero del Vescovo effonde sui fratelli la sovrabbondanza della sua conoscenza di Dio.
Si capisce allora come il Concilio metta al primo posto, come eccellente, il ministero della parola. Purtroppo capita che il Vescovo non abbia chiara questa coscienza e che troppe volte i membri del popolo di Dio richiedano la presenza del Vescovo per impegni che non hanno nulla a che fare con il suo compito specifico.
Il Concilio parla della predicazione del Vangelo. Il Vangelo, non dimentichiamolo, è un lieto annuncio, una notizia gioiosa: Dio è presente, Dio ci ama, Dio perdona i nostri peccati, Dio è nostro Padre, Dio fa di noi i suoi figli, Dio ha mandato il suo Figlio, Dio effonde il suo Spirito nei cuori e noi abbiamo il privilegio e la gioia di chiamarlo “Abbà”. Chi ascolta la parola del Vescovo dovrebbe andarsene pieno di gioia, di sicurezza, di pace, perché « noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece collaboratori della vostra gioia » (2 Cor 1, 24).
E’ vero che nel mondo c’è il peccato, ma è altrettanto vero che il peccato è rimesso e che, « a chi piú si rimette, piú ama » (cfr Lc 7, 41 ss). Poi, non è secondo il Vangelo la pura denunzia del peccato: è Vangelo il perdono del peccato accompagnato da una grazia che toglie il peccato e ristabilisce nella condizione di figli di Dio.
A questo punto si potrebbe pensare che una siffatta evangelizzazione sia astratta e non tenga conto delle condizioni concrete in cui vivono gli uomini. Proprio la luce della parola di Dio fa scoprire queste situazioni e offre il rimedio per risolverle. Io sono del parere che non le condizioni debbono essere evangelizzate, ma gli uomini che vivono in esse. Per esempio, l’economia, la politica, la sociologia sono realtà mondane, che hanno leggi loro proprie: sono i cristiani che debbono impegnarsi per animare queste realtà secondo il Vangelo.
Queste sono alcune considerazioni che nascono da una lunga esperienza. A mano a mano che le affermazioni del Concilio venivano sancite, erano per me motivo di grande gioia; entro nella tristezza quando le medesime affermazioni non sono accolte con pienezza. Ma la pazienza e la speranza non mi abbandonano.