nel contesto della Chiesa italiana
Espongo queste mie considerazioni perché ne sono stato richiesto e ho una lunga e vissuta esperienza dell’Italia del Sud; non ho la pretesa di stendere un documento e non ho alcun titolo per proporlo, espongo queste note come un servizio all’Episcopato italiano.
Sono stato come vescovo in Puglia, a Monopoli, per quindici anni. La diocesi era a dimensione personale e mi avanzava il tempo per il ministero della Parola. Oltre che in tutte le zone della Puglia, ho annunciato la Parola di Dio in quasi tutte le regioni del Sud: in Calabria (Reggio Calabria), a Napoli, in Sicilia: Messina, Acireale, Zafferana (più volte), Catania e Palermo. Ovunque sono stato accolto cordialmente e ho detto le mie “novità” molto conformi ai testi della Scrittura e del Magistero.
In quegli anni balzava chiaramente all’occhio la situazione socio-politica, soprattutto quella economica: arretratezza, emigrazione massiccia, disoccupazione che continua tra i giovani e le donne, inefficienza della pubblica amministrazione; i fondi ingenti della Cassa del Mezzogiorno male impiegati, non impiegati, distorti a scopo di profitti anche personali.
Raramente lo Stato dal centro dialoga con il Sud: non si impegna, per esempio, ad organizzare il commercio dei prodotti locali, primizie di ogni genere: agrumi, olive, verdure, con un adeguato profitto per i produttori che subiscono la concorrenza dei paesi del Medio Oriente, della Grecia e della Spagna. A me, profano, sembra che un adeguato sostegno del governo a favore dell’agricoltura e del mercato dei prodotti agricoli sarebbe un provvedimento molto vantaggioso per quelle regioni e doveroso per lo stato.
Una iniziativa che darebbe vantaggi impensati è la cooperazione: esistono limitate imprese cooperative ma è difficile che si diffondano come avviene in Emilia: diffidenza vicendevole, mancanza di iniziativa, ecc.
Faccio un rilievo e una premessa: siccome si tratta di un intervento dei Vescovi si deve partire da un piano più radicale, quello religioso; la premessa è di carattere storico al fine di comprendere da dove deriva la situazione religiosa del Meridione.
In una dichiarazione fatta dal compianto Arcivescovo di Bari mons. Nicodemo, in un convegno nazionale tenuto a Pompei, si afferma che al Sud i Decreti del Concilio tridentino, per l’opposizione politica dei Borboni, sono giunti soltanto con il Codice di Diritto Canonico (1917-18). Quindi il Tridentino per il Sud è quasi lettera morta dal 1563 al 1918!
I confronti sono sempre odiosi, ma la storia è storia; non è merito del Nord la presenza e l’attività infaticabile di san Carlo Borromeo, che, immediatamente, ha dato esecuzione ai Decreti del Concilio: Parrocchie, Seminari, Catechismo sono realtà fondamentali delle chiese del Nord che, senza altro hanno continuato a progredire e a rinnovarsi.
La situazione del Sud è un’altra: chi entrava nei seminari diocesani imparava a dire Messa e a recitare il Breviario; i più intraprendenti e intelligenti frequentavano l’Università di Napoli; laureati, si impegnavano nella scuola di stato e normalmente erano ottimi insegnati. La meta che si prefiggeva il sacerdote era quella di fare parte del Capitolo della Cattedrale ed esistevano vari gradi di appartenenza.
A Monopoli nel 1952 i giovani preti vantavano un “titolo acquisito” per entrare in Capitolo. Alle mie direttive di andare vicari cooperatori nelle parrocchie fecero ricorso a Roma, la quale, naturalmente ha respinto il ricorso; “obtorto collo” sono andati in parrocchia e oggi sono degli ottimi parroci. Questa mentalità era così radicata che un canonico, ecclesiastico esemplare, mi si avvicina e con tutta naturalezza mi dice: -perché non fa scendere alcuni dei suoi preti? Diamo loro le parrocchie e noi curiamo il Coro – .
Il parroco era un delegato del Capitolo; la situazione era vistosa a Bari: il Capitolo era il titolare di tutte le parrocchie della metropoli e per ognuna il Capitolo designava un delegato. Ci sono voluti la intraprendenza e il coraggio dell’allora Arcivescovo Mimmi che nominò “pleno jure” un parroco per ogni parrocchia, superando una consuetudine secolare. Siamo negli anni cinquanta!
A Monopoli una catechesi seria e regolare di due anni, è incominciata sempre negli anni cinquanta, e il Direttore dell’Ufficio Catechistico diocesano esaminava alla fine, tutti i candidati alla Prima Comunione e alla Cresima; in tutte le Parrocchie si teneva una gara catechistica alla quale presenziavo sempre.
L’altro problema urgente era quello dei Seminari e soltanto Pio XI (1922 1939) provvide con i Seminari Regionali, che in parte affidò ai Gesuiti e in parte al Clero del Nord che proveniva da una certa tradizione.
Reclamati dalle chiese locali, come direzione e insegnamento, i Regionali sono spesso risultati un trampolino per diventare vescovi, ma soprattutto è mancata la dimensione dell’insegnamento pastorale.
In complesso i Seminari Regionali sono stati un decisivo passo avanti, con qualche piccolo inconveniente. I nuovi Vescovi di ogni regione sono compagni di scuola della maggior parte dei loro preti: alcuni sono stati loro “prefetti”, altri loro insegnanti. Mi permetto di suggerire per la presentazione dei nuovi Candidati all’episcopato di interrogare “debito modo”, alcuni compagni di scuola: ne verrebbe fuori una conoscenza più realistica.
I Seminari Regionali, come del resto molti altri, non sono attrezzati per fornire ai candidati una maturazione affettiva indispensabile per le condizioni di costume morale delle popolazioni a cui sono destinati.
Oggi i giovani maturano in ritardo e sono paurosamente fragili da un punto di vista affettivo. Hanno, a mio parere, bisogno di acquistare un’intimità con Dio di tipo mistico-contemplativo, che costituisca il supporto per una maturazione umana ed affettiva; decisamente, secondo il comando del Signore, devono essere educati all’amicizia sincera tra loro sempre con l’auspicabile supporto di un saggio e amico direttore spirituale.
Mi permetto di fare un rilievo che, sottopongo al giudizio di tutta la Chiesa. Richiamo le affermazioni di due santi uomini di chiesa, uno canonizzato e l’altro ancora sotto giudizio: il mio don Orione definiva i collegi, ai quali si mandavano i giovani perché crescessero “buoni”, “ospedali della educazione” e Rosmini definiva i seminari una delle “piaghe” della chiesa.
Certo, i candidati al Presbiterato debbono compiere studi sistematici in Seminario, ma la loro formazione deve scaturire dalla vita religiosa e dalle esigenze di una autentica comunità ecclesiale, nutrita di Parola di Dio, rafforzata dalla Grazia e unita nella Carità, in ultima istanza presieduta dal Vescovo.
Un fenomeno che ritengo ingiustificato è un certo senso di inferiorità a tutti i livelli ecclesiali, che ho trovato nell’Italia meridionale. Per quanto mi consta i Vescovi del Sud, di norma, sono più intelligenti e culturalmente preparati di quelli del resto d’Italia. Dal momento che l’unità d’Italia esiste solo nella geografia e nel governo centrale, noi Vescovi non possiamo, a livello di CEI dividere la chiesa italiana in tre chiese: Nord, Centro, e Sud.
Anche per la nomina dei Vescovi ci sia un interscambio. Per decine di anni dal Nord sono stati mandati i Vescovi al Sud. Mi affido alla memoria:
mons Albera che ha ricostruito Reggio Calabria dopo il terremoto del 1908,
mons. Bribellati a Nicotera e Tropea,
mons Bernardi arcivescovo di Taranto,
mons. Peruzzo Arcivescovo di Agrigento,
mons, Bertazzoni per quaranta anni Vescovo di Potenza,
ad Andria si sono succeduti tre Vescovi dal Nord, ultimo
mons. Brustia,
mons. Fasola in Sicilia,
mons Gaddi ancora in Sicilia,
a Palermo il Cardinal Ruffini,
mons. Ferro ancora a Reggio Calabria,
mons; Mojetta a Nicastro,
mons. Forzoni a Gravina e Irsina,
mons. Riboldi ad Acerra,
mons. Vailati a Manfredonia.
Tutti si sono trovati bene, hanno operato con profitto del clero e delle popolazioni e il loro ricordo con i frutti della loro presenza è sempre vivo e grato. Non posso dimenticare il mio Vescovo di Tortona mons. Egidio Melchiori a Nola. Sono tutte persone di chiesa le quali non sono andate a “colonizzare”, ma a svolgere in umiltà e carità il loro ministero pastorale.
Siamo ad un punto crucciale del mio pensiero: come nel Meridione alcuni vescovi auspicano che i nuovi candidati non siano della stessa regione, contro la tendenza ad essere promossi e ritornare verso i luoghi di provenienza; faccio un passo avanti: perché alcuni vescovi del Sud non potrebbero essere designati per le chiese del Nord? Sono intelligenti e culturalmente preparati, in breve tempo capirebbero e si inserirebbero nella nuova situazione, la quale ha una tradizione pastorale affermata, che sarebbe tonificata da questa presenza.
Il problema della “situazione locale”, se assume un valore quasi determinante, rischia di soffocare la personalità del Vescovo. E’ doveroso mettere nel giusto valore la chiesa locale che è ben lontano dall’averlo esaurito; ma se della chiesa locale facciamo un’isola, la svuotiamo del suo contenuto costitutivo, che è quello di portare in se tutto il mistero della chiesa: la presenza e l’azione del Padre, del Figlio, dello Spirito santo, con la conseguenza di una comunione, nella persona del Vescovo con tutte le chiese locali alle quali presiede quella di Roma.
E’ vero, per esempio, che il vescovo di Parma non può fare il Vescovo di Piacenza: non solo per motivi giuridici ma anche teologico-pastorali. Però se un Vescovo ha un modo di pensare e di sentire ristretto ai suoi confini territoriali, non solo non è più cattolico ma neppure umano.
Nel tentativo di farmi intendere: se uno studente di scuola media superiore non conosce la storia e la geografia di tutte le regioni d’Italia è bocciato. Continuo: se un Vescovo nella cultura in cui vive non ha una certa conoscenza non dico intellettuale o astratta, ma esistenziale, almeno di tutte le regioni d’Italia e di gran parte del mondo, per me è bocciato già come uomo: ha orizzonti angusti; non è più cittadino del mondo, “esperto in umanità”.
Ogni Vescovo e con lui i suoi sacerdoti e fedeli debbono formarsi a una visione, a una sensibilità e a una disponibilità veramente “cattolica”. Visitare i paesi dell’Oriente o dell’Occidente rende più umani, più universali, più cattolici che leggere molti libri. Altro che Vescovi del Sud e del Nord! E’ necessario che siamo almeno italiani e poi universali: l’ombra del nostro campanile non deve segnare lo spazio della nostra visione ecclesiale.
Oggi la situazione meridionale è notevolmente migliorata, e non si possono passare sotto silenzio le realtà positive: parecchi Magistrati, Prefetti, Questori di tutta Italia provengono dal Sud, del Sud sono i Giuristi migliori. Tutta l’attività politica italiana è dominata dalla personalità di don Sturzo (Sicilia) e di Moro (Puglia); esiste la ricchezza dell’umanità della gente meridionale: la cordialità, l’ospitalità, il senso della famiglia: non si fa festa se non è festa di famiglia; i sacrifici degli emigrati sono il prezzo per costruirsi una casa al “paese”.
Esiste una apertura religiosa (da non confondere con le tradizioni religiose) che debitamente evangelizzata può dare frutti sorprendenti. Personalmente fin dagli anni cinquanta ho avuto la sensazione, poi confermata dai fatti, che l’evangelizzazione del mezzogiorno era il punto di partenza per evangelizzare il resto d’Italia, che con la industrializzazione stava diventando sempre più secolarizzata.
Paolo VI, con ben altra autorità e competenza, confidava a mons. Agostino: “l’umanità del meridione é come una speranza per la nazione Italiana”. E’ significativa per le chiese meridionali una evidente promozione dei laici: è nutrito il corpo dei catechisti; l’Azione Cattolica, da tempo ha un suo peso in campo nazionale.
Esiste un altro valore, quasi sottaciuto, quello culturale. Chi ha presenti nella cultura corrente, personalità come quella di Gioacchino da Fiore, di Gianbattista Vico e Campanella?
S. Alfonso Maria De Liguori, ordinato sacerdote nel 1726 incominciò subito il suo ministero in mezzo al popolo dei rioni più poveri. Convinto dell’urgenza di catechiazzare la gente, fondò una Congregazione, quella dei Redentoristi, finalizzata a questo scopo.
E’ Dottore della chiesa, il più grande moralista di tutti i tempi. Sciolse il nodo inestricabile tra lassisti e rigoristi proponendo il “probabilismo”. Creato vescovo di S. Agata dei Goti continuò la sua attività pastorale. I suoi scritti sono presenti in tutta l’Italia e nel mondo:
Le massime eterne,
Le visite al santissimo Sacramento,
Le glorie di Maria,
L’apparecchio alla morte ,
Del gran mezzo della preghiera,
La pratica di amare Gesù Cristo, ecc..
S. Alfonso non arriva a mettere in evidenza l’opera dello Spirito Santo e indica una via di perfezione cristiana decisamente ascetica e non mistica. Di Gesù Cristo valorizza il mistero della passione e morte ma non quello della risurrezione. Come santo è anche un artista e, da “buon napoletano” catechizza con i canti popolari che giungono fino a noi.
Gioachino da Fiore nato verso 1130 è una delle figure più rappresentative e complesse della spiritualità medioevale: mistico, riformatore, profeta, teologo, esegeta. Il contenuto delle sue opere non è entrato nella cultura ecclesiastica, però è stato studiato da Tomaseo, da Manzoni, da Rosmini. I suoi argomenti sono stati adottati da san Bonaventura e da san Bernardino da Siena.
G.B. Vico (1668-1744) dedicò tutto il suo impegno culturale alla storia del cattolicesimo. La sua intenzione era quella di far sorgere un impero che comprendesse gli stati d’Europa, governati dal capo della chiesa. Anche se accusato di deviazioni filosofiche, condusse una battaglia spietata contro l’idealismo e contro Cartesio. La sua filosofia non ha avuto l’influsso che meritava nella cultura italiana. Il solo che l’abbia preso in considerazione ponendolo tra le massime figure della filosofia europea è Benedetto Croce, anche se la sua interpretazione è viziata da pregiudizi immanentistici.
Tommaso Campanella(1568-1639),genio incontenibile e poliedrico, politicamente perseguitato e torturato, perseguitato anche dalla chiesa, sul piano morale, condannò apertamente l ‘egoismo e il particolarismo l’ozio parassitario, le inumane condizioni di vita dei diseredati e sognò di risolvere i mali sociali con un progetto di repubblica ideale (Città del sole), retta secondo un rigoroso comunismo monastico, governata dai sapienti, spartana nei costumi; estende il comunismo anche alla vita famigliare con il suo intramontabile fascino per il calore e gli interessi umani:l’esaltazione della fratellanza umana,del coraggio ,delle virtù morali, dell’esercizio fisico e precorre il progresso scientifico per le geniali idee pedagogiche anticipatrici delle più moderne esperienze.
Questo patrimonio culturale è di una ricchezza incomparabile. Appartiene al meridione che pure è Italia, una parte d’Italia meno imbevuta a tutt’oggi dalle insidiose filosofie d’Oltralpe e dalla ideologia tecnologica e tecnocratica, più aperta agli influssi di una tradizione umanistica che sarebbe stolto ignorare e sottovalutare come “acqua passata”. Non è bene che solo il Nord dia del suo al Sud; è giusto che il Sud possa dare del suo a tutta l’Italia.
Uno sguardo alla chiesa italiana
Ora mi permetto di fare un discorso più generale per la chiesa italiana. Personalmente ho partecipato ai lavori della CEI; anche in diverse Commissioni e li ho apprezzati; ma, al punto di esperienza in cui mi trovo oso dire che la chiesa italiana non ha ancora accolto lo spirito e il dettato del Concilio Vaticano II.
La CEI nei suoi piani pastorali, che pure hanno una loro validità non affronta i principali documenti del Concilio. A mio modesto avviso non ha fatto sua la Costituzione che ha come scopo diretto di “ritornare alle sorgenti”, la “Dei Verbum”.
Quando questa Costituzione è stata approvata, Paolo VI con padre De Lubac e pochi “periti” di sua fiducia si è recato a san Paolo fuori le Mura per una concelebrazione di ringraziamento.
E’ la Costituzione che imprime veramente una rivoluzione copernicana all’impianto culturale della teologia tradizionale: è il passaggio dall’ intellettualismo astratto alla dimensione storica del contenuto della Divina Rivelazione.
Il solenne preludio è costituito dalle parole di Giovanni: “ciò che fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo visto con i nostri occhi, ciò che abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile noi l’abbiamo veduta e di ciò vi rendiamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è con il Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo perché la nostra gioia sia perfetta” (1 Gv 1,1-4).
Questo evento storico della divina rivelazione ha una finalità ben precisa: “piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua volontà, mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura”; ” Con questa rivelazione infatti Dio invisibile nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli ed ammetterli alla comunione con sè . . . la profonda verità, poi, su Dio e sulla salvezza degli uomini ,per mezzo di questa rivelazione risplende a noi nel Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta la rivelazione”(DV 2).
Alcuni rilievi:
1) che Dio parli agli uomini è il più grande avvenimento della storia;
2) i protagonisti di questa storia sono le tre Divine Persone di un solo Dio;
3) l’immenso amore di Dio non è un suo attributo ma un evento che entra nella storia ed è accaduto ieri, accade oggi, accadrà per sempre;
4) il termine di questa storia è la persona umana (concretamente gli uomini);
5) chiamata alla comunione di vita con il Padre per mezzo del Figlio, nello Spirito.
Tutto questo risplende in Cristo mediatore e pienezza di tutta la rivelazione.
Questo è “Vangelo”: lieta notizia, gioioso evento che costituisce il sostegno della nostra gioia piena.
Il Vangelo ha certamente Gesù di Nazaret come protagonista, il quale dal principio alla fine è tutto riferito al Padre e invia il dono dello Spirito. Perciò il Vangelo come tutti i documenti della Rivelazione è decisamente trinitario.
Questo Dio con la sua Parola, e col soffio delle sue labbra crea il cielo, la terra, il mare e quanto contengono e l’ornamento di tutto l’universo.
Il Cristo “è l’immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura perché per mezzo di lui sono state create tutte le cose,quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili…Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui…perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a se tutte le cose, rappacificando col sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli” ( Col 1,10-20).
Come si vede Cristo è al centro della creazione e della salvezza, non in modo statico, ma dinamico: è entrato nella creazione dal momento che il Verbo ha assunto una carne determinata, singola, e nello stesso tempo è diventato capo di molte membra: “non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo?” (l Cor 6 , 15 ); “io sono la vite,voi i tralci” (Gv 15,5).
Le dimensioni della profondità e ampiezza del mistero della Incarnazione, oltre che nella Scrittura, sono espresse nella Liturgia, in particolare nei Prefazi: “dal grembo verginale della figlia di Sion è scaturita per tutto il genere umano la salvezza e la pace” (Avvento II A); “Egli, verbo invisibile apparve visibilmente nella nostra carne per assumere in se tutto il creato” ( Natale II); “Nella passione redentrice del tuo Figlio tu rinnovi l’universo” (Passione I); “In lui risorto tutta la vita risorge” (Pasqua II); “in lui vincitore del peccato e della morte l’universo risorge e si rinnova e l’uomo ritorna alle sorgenti della vita” (Pasqua IV).
Gesù di Nazaret ha compiuta la sua missione: ha annunziato la bella notizia che Dio è nostro padre, ha guarito i ciechi, i sordi, gli storpi, ha liberato gli indemoniati e ha risuscitato i morti; ha illustrato il Regno dei Cieli con molte parabole; è entrato nella sua gloria con la morte e la risurrezione.
Per comprendere in qualche modo il mistero della risurrezione teniamo presente tutta la liturgia del tempo di Pasqua: orazioni, salmi responsoriali, letture sia del Messale come del Breviario. Questo mistero deve stare al centro della vita cristiana e dell’attività pastorale: ricordiamo le parole di Paolo che si leggono al capitolo 15 della prima lettera ai Corinti dai versetti 12 al 19; teniamo sempre presente l’affermazione decisiva: “ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la nostra fede” (id 17).
La missione di Gesù è ben chiarita e presentata da lui stesso: “io sono venuto perché abbiano la vita e la abbiano in abbondanza” (Gv 10,10); “è in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9); “dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto” (Gv 1,16); di più ” a quanti l’ hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12); “quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente…”(l Gv 3,1 ss)
Faccio questi richiami per rimarcare che una persistente tendenza moralistica ci porta ad accentuare la parte negativa della missione del salvatore e porta a sottovalutare un dato biblico fondamentale: il cuore. Il cuore di Dio è più grande dei nostri peccati e la potenza con cui il Padre, per mezzo del Cristo ,nello Spirito supera senza confronto la forza distruggitrice di qualunque estensione e profondità del peccato: “voi siete da Dio, figlioli,.`..perché colui che è in voi è più grande di colui che è nel mondo” (1 Gv 4,4).
Non mi dilungo oltre: vedere l’azione dello Spirito in Giovanni ai capitoli 14 e 17 e la lettera ai Romani 5,5 e tutto il capitolo 8. I1 fatto centrale e decisivo è che l’amore con cui Dio si ama, ama noi e tutto il creato e che la forza di amare a noi a noi è assicurata dallo Spirito che possediamo (cf Rm 5, 5): perciò siamo delle persone amate, amabili, capaci di amare; di questo ci dà la sicurezza sempre lo stesso Spirito (Rm 8,16)
Una dozzina di suicidi, cinquecento aborti ogni giorno; più di un milione e mezzo di atti criminali ogni anno: questa è l’Italia del benessere della scienza e della tecnica. La ragione ultima a detta degli psicologi e dei sociologi più qualificati, è la mancanza di amore, il quale nella visione cristiana ha la sua sorgente in Dio. Normalmente la vittima è la donna: aborto, “pillola” più o meno volontari hanno una loro conseguenza nel suo equilibrio generale; ma non si colpevolizza l’uomo adulto sollecitato incredibilmente dalla lettura della stampa pornografica al fine di mantenere efficiente la sua “virilità”.
Quanto e come diciamo, con una catechesi narrativa e prolungata ai fedeli, che si affacciano all’età matura in preparazione al matrimonio, che devono approfondire la Parola di Dio, pregare, accostarsi ai sacramenti al fine di poter vivere nell’amore, di farlo crescere e di comprendere il valore della vita?
L’intima unione con Dio e l’unità del genere umano (cf LG 1) hanno come supremo modello e principio l’unità delle Persone di un solo Dio Padre e Figlio nello Spirito Santo (cf UR 2).
Una caratteristica della nostra evangelizzazione della salvezza continua ad essere quella di dare risalto agli obblighi e non insistere invece propriamente sull’aspetto positivo della salvezza cristiana, che è quello di essere il “principio” e la “sorgente” da cui deriva la capacità di soddisfare gli obblighi. Mi riferisco al profeta Ezechiele (36,27): porrò il mio Spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi”. E’ da osservare che le proposizioni hanno un senso attivo; quindi è Dio che nei tempi messianici che sono i nostri giorni ci dona una super-forza perché osserviamo le sue leggi. Il mistero della salvezza ha la sua sorgente e il suo culmine nella celebrazione liturgica ,nella quale è resa presente l’opera della redenzione (cf SC 2)
“Massima è l’importanza della Sacra Scrittura nella celebrazione liturgica…perciò allo scopo di favorire la riforma, il progresso e l’adattamento della sacra liturgia è necessario che venga promossa quella soave e viva conoscenza della Sacra Scrittura; che è attestata dalla venerabile tradizione dei riti sia occidentali che orientali” (SC 24).
Dunque sono utili e da sostenere le “settimane liturgiche nazionali” ma perché non promuovere e diffondere le “settimane bibliche”?! Il numero e la qualità dei biblisti di cui possiamo disporre è un tesoro che non arricchisce, come potrebbe, la vita della chiesa italiana.
Sono valide anche le “settimane sociali” a condizione di non dimenticare che:
1) solo se si hanno ben chiare e presenti le coordinate bibliche e teologiche dei problemi, si potranno dare indicazioni sicure e corrette ,cioè rispettose della legittima autonomia delle realtà terrene;
2) il compito di “vedere-giudicareagire” nella complessa realtà sociale per “ordinarla secondo il Vangelo” è proprio dei laici cristiani che siano in comunione vivente con la Gerarchia e il Magistero .
Mons. CARLO FERRARI
Vescovo emerito di Mantova
Mantova, 15 Maggio 1989.
ST 174 Meridione 89